A Maria compagna di viaggio
Prefazione
Racconti autobiografici, alcuni addirittura dei flash, scritti dal 1993 in poi, da leggere a cuor leggero, perché chi cercasse in essi quel qualche cosa in più, come sarebbe giusto per uno scritto che si rispetti, lo dico senza falsa modestia, penso dovrà ricredersi.
Scrivere la storia della propria vita è una debolezza dei vecchi e la noia di chi un giorno si troverà a leggerla. Per ovviare, almeno in parte, a questo, ho pensato bene di raccontarla attraverso episodi, prendendo a pretesto momenti e personaggi conosciuti nel corso degli anni e così il lettore non si troverà costretto a seguirne la lettura partendo dalla prima pagina e come quasi sempre capita, cercare inutilmente di arrivare all'ultima. Nel caso specifico si può cominciare da metà, oppure dall'ultimo racconto, come uno crede, tanto non cambia niente.
Comunque anche se uno solo di questi brevi scritti sarà ritenuto accettabile e passerà al vaglio del casuale lettore, allora penso che tutto sommato, meritavano di essere raccontati.
In ultimo, non certo per l'ordine di importanza, ritengo doveroso ringraziare l'amico Giannini che con le sue bellissime illustrazioni, ha contribuito in modo determinante ad arricchire questo libro e diciamolo pure, a toglierci quel che di dilettantismo cui inevitabilmente era destinato, dandogli quel tocco in più, che solo un professionista del suo livello, poteva dare.
AMARCORD - flash di una lunga vita
Il Teacher
Aveva un bel dire il nostro professore d'inglese, ma proprio non volevamo saperne di studiare la lingua di una nazione nemica, che tra l'altro non ci avevano certo insegnato ad amare. Erano gli anni della seconda guerra mondiale.
Ovvio che tutto questo faceva parte di un piano da noi escogitato per liberarci, almeno in parte, di una materia ostrica, approfittando della debolezza del teacher, o meglio del fatto che non aveva sufficientemente a posto quegli attributi che sarebbero stati indispensabili per tenere a bada degli arnesi come noi.
Ma naturalmente non è che si fosse dato per vinto; in un primo momento, forse per destare in noi l'interesse per la lingua, portò in aula un libro, un diario da lui scritto in inglese il cui titolo suonava pressappoco così: Rojal Steamer. Ce lo faceva leggere, ma tra uno sbadiglio e l'altro, il risultato fu più che deludente. Successivamente ebbe un lampo di genio e una bella mattina arrivò in aula con un grammofono e alcuni dischi.
Cominciò a farci ascoltare delle canzoni, vere primizie per quegli anni tipo Blue Moon, Star Dust e con quelle ottenne un certo risultato. Avrà pensato: anche se non parlano, almeno canteranno in inglese.
Infatti non trascorsero molti giorni che le sapevamo a memoria ed il teacher approfittò dell'abbrivio per trarne il massimo vantaggio. Sulla scia di questo successo andò oltre ogni aspettativa e ci aggredì con i verbi. Chiamava alla lavagna e supponiamo dicesse to awake (svegliarsi ), noi avremmo dovuto rispondere "awake, awoke, awoken" e così con tutti gli altri verbi.
Pensammo a come rimediare e fu deciso di scrivere la declinazione di ogni verbo su un cartoncino, abbastanza grande da poterlo leggere da alcuni metri. Così facemmo e ognuno di noi prese la sua parte, chi i verbi che cominciavano per A, chi per B ecc.
Sin dal primo giorno capimmo che tutto avrebbe funzionato a meraviglia. Il teacher chiamava come al solito uno di noi alla lavagna e chiedeva le varie declinazioni. Diceva "svegliarsi", l'interrogato dava un'occhiata verso i compagni e quello che aveva la lettera corrispondente in un baleno trovava il verbo richiesto e coperto dalle spalle del compagno che stava davanti, mostrava il cartoncino da leggere. Solo chi era nel primo banco non poteva collaborare e questo creava una certa difficoltà a quelli che dovevano tenere più cartoncini. Per questo motivo qualche volta la ricerca risultava più laboriosa, ma si trattava sempre di pochi secondi. Il teacher era soddisfatto e raggiante.
Agli scrutini quell'anno fu generoso e promosse praticamente tutti. Ci fu il solito allievo che, non sto a dire chi fosse, che prima di partire per le vacanze, pensò bene di raccogliere tutti quei cartoncini e metterli nel suo stipetto in modo che con il nuovo anno scolastico, fossero pronti per l'uso. Era di corredo ad ognuno di noi e si trovava nella stessa aula dove si svolgevano le lezioni e che non l'avremmo lasciato fino alla maturità, salvo... incidenti di percorso.
L'anno successivo, il primo giorno di scuola, alla prima ora avevamo lezione di matematica con il professor Sconso, una bella figura di uomo e di insegnante.
Contrariamente al teacher che non si muoveva mai dalla cattedra, lui aveva l'abitudine, mentre spiegava, di girare per i banchi e curiosare tra le nostre cose. Anche quel giorno si comportò come era solito fare e chissà perché, il famoso stipetto ero rimasto socchiuso lasciando intravedere il suo contenuto. Per il professore fu un invito a nozze e quale non fu la sua sorpresa nello scoprire tutti quei cartoncini.
Immediatamente si rese conto dell'uso cui erano destinati e la risata che seguì fu più eloquente di qualsiasi commento.
Conosceva bene il teacher, sapeva di che pasta era fatto e avrà immaginato la scena che ogni due o tre giorni si sarebbe ripetuta nell'ora di inglese.
Fu bravo, non rivelò il nome del depositario di quella prova inconfutabile, ma ritenne doveroso mettere il diretto interessato al corrente di tutto. Era scontato, non poteva essere altrimenti, come del resto era scontato che quell'anno, volenti o nolenti, avremmo dovuto imparare le varie declinazioni dei verbi inglesi.
(Da il collegio navale di Venezia, oggi Morosini 194O-1943.)
(Racconti senza ritorno-Personaggi ..e personaggi-1997)
Bollicine di sapore.
Oggi 29 Novembre 1994 su un quotidiano leggo un trafiletto così titolato, Una bustina che conteneva bollicine di sapore e, come per incanto, mi sono ritrovato quasi cinquanta anni indietro in un momento particolare della mia giovinezza e precisamente nel periodo che seguì la fine del secondo conflitto mondiale...
Erano tempi nei quali non si navigava certo nell'oro, anzi, tutti assieme cercavamo di rimettere in piedi una attività distrutta dalla guerra.
Il bombardamento della fabbrica a Borgo a Buggiano, le ruberie di tutti i macchinari mentre le merci che nostro padre aveva acquistato prima del passaggio del fronte e della linea gotica, per le quali aveva speso praticamente tutto quanto poteva disporre, proprio pensando al dopo guerra, erano sparite per opera dei partigiani, dei tedeschi in ritirata e della gente della zona.
In ultimo, ironia della sorte, era sotto processo con l'accusa di arricchimento con il passato regime, il che voleva dire per chi non lo sapesse che, secondo i nuovi capoccia, si sarebbe arricchito approfittando del fatto di essere un fascista. Accusa che si smontò da sè perché non stava in piedi visto che, prima dell'avvento del fascismo, mio padre era un signore mentre alla fine della guerra era quasi povero. Ma intanto questa accusa gli era di peso, gli teneva le mani legate non potendo muoversi liberamente, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.
In quegli anni le bollicine erano di norma in casa nostra ed ero io che, prima di sederci a tavola, provvedevo alla loro preparazione.
Riempivo una bottiglia d'acqua accertandomi che avesse il tappo ermetico, mettevo la prima bustina nella bottiglia e agitavo ben bene; successivamente aggiungevo la seconda chiudendo la bottiglia immediatamente dopo. Il gioco era fatto. Non so se ancor oggi da qualche parte vengono usate ma ormai penso siano state completamente soppiantate dall'acqua minerale. Comunque era una bevanda piacevole e gustosa. C'era l'Idrolitina, la Frizzina e chissà quante altre marche che non ricordo.
Ebbene la mia prima esperienza commerciale la ebbi proprio vendendo queste bustine che avevano la caratteristica di formare bollicine di sapore.
Fu un amico di mio padre che un giorno mi chiese: "te la sentiresti di andare a vendere le bustine per l'acqua da tavola?". Frequentavo la facoltà di ingegneria a Pisa e avevo a disposizione più tempo che soldi. Non me lo feci ripetere due volte ed il giorno appresso ero sulle strade della provincia di Pisa, la zona assegnatami, con un furgoncino residuato di guerra, carico di questa piccola gioia del palato.
Non mi sarei mai aspettato il successo che incontrai. In qualsiasi negozio di alimentari o bar che entravo non mancavo di venderne qualche scatola ed il pagamento avveniva sempre in contanti.
In un paio di giorni feci cappotto e poi smisi.
La percentuale di mia spettanza aveva superato ogni più rosea previsione ma la gioia più grande la provai dopo, quando rientrando a casa, divisi tutto il guadagno con i miei fratelli.
Cose d'altri tempi. (seconda metà degli anni 40.)
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
Il Galleggiante
Per quanto con la memoria torni indietro negli anni, non ho ricordo di averlo conosciuto con altro nome; per me era sempre stato il Galleggiante. Aveva fatto diversi mestieri con alti e bassi, più bassi che alti, ma era sempre riuscito a mantenersi a galla. Insomma si sapeva barcamenare e credo che fosse proprio per questo motivo che gli avevano appiccicato quel soprannome. Chiunque fosse stato aveva centrato in pieno il bersaglio, perché gli calzava a pennello. Quando ero ancora un ragazzo ricordo che molto spesso faceva da autista a mio padre; altre volte lavorava in fabbrica e negli ultimi anni, prima e durante la guerra, era uno dei tanti rappresentanti dell'industria paterna.
Qualche anno dopo la guerra lo rividi e dato che avevo iniziato a mia volta a fare del commercio, ricevetti subito il suo battesimo e la relativa benedizione con una cifra che all'epoca non era di poca entità. Successivamente riuscì a prendere non due, ma tre piccioni con una fava. Avendo noi tre fratelli messo insieme un piccolo allevamento di castorini, impiegandoci non pochi soldi ed essendo riusciti solo dopo un paio d'anni a formare un mazzo di pelli decenti e vendibili, lui, il galleggiante, si offrì di trovare un acquirente. Il risultato fu più che lusinghiero: lo trovò, ma noi restammo senza pelli e non vedemmo il becco di un quattrino. Comunque era pressochè impossibile portargli rancore a lungo perché, bisogna riconoscerlo, era di una simpatia unica.
Anche se in seguito tra noi due non ci furono più rapporti di lavoro, quando lo incontravo, devo ammettere che sempre rimanevo affascinato dai suoi racconti su luoghi, persone e cose da lui viste e vissute, che mai mancavano dal suo repertorio. D'altra parte qualche merito lo doveva pur avere se riusciva sempre a galleggiare.
Non ricordo esattamente come successe, ma un anno, si era nel 1960, avevo pensato di andare in ferie alle Eolie e precisamente nell'isola di Panarea. Oltre Ennio e Franco, decise di venire anche mio fratello Aligi. In quel periodo il Galleggiante lavorava per lui e venuto a conoscenza di questa nostra idea, fece fuoco e fiamme per parteciparvi. Non solo, ma se lo portavamo, dichiarò che era disposto a fare il cuoco. Noi lo ritenemmo un colpo di fortuna e ne fummo contenti perché andavamo con la tenda e a quei tempi a Panarea non è che ci fosse grande scelta di ristoranti, ce n'era a malapena uno, così una persona disposta a cucinare e per di più brava, non poteva che essere ben accetta.
Arrivammo a Napoli da dove ci imbarcammo tutti e cinque con al seguito la Conchita, una barchetta di quattro metri con motore fuoribordo e il mio cane, un lassie che non avrei saputo proprio a chi lasciare dato che Maria, andando in campagna con Marco che all'epoca aveva quattro anni, non era disposta a portarselo dietro.
Giunti a Panarea ci sistemammo con le tende in una posizione strategica e il nostro Galleggiante che si era portato un bel cappello bianco, immedesimato nel suo incarico, quando cucinava ne faceva sfoggio; poi ogni persona che passava ed erano molte perché chi voleva andare alla spiaggia quello era un passo obbligato, riceveva un assaggio dei suoi piatti. Insomma dopo pochi giorni era diventato una vera attrazione. A questo proposito una sera facemmo una pescata miracolosa di totani e fu deciso per l'indomani un bel risotto che poi, manco a dirlo, fu assaggiato da tutti gli abitanti dell' isola.
Ci eravamo accampati nei pressi di un pozzo nel cui interno, lungo le pareti, avevano nidificato tarantole di tutte le misure e specie ed inoltre attorno abbondavano talpe e topi mai visti così grossi.
Un tedesco che abitava in una villa poco distante, in tutta l' isola al massimo ce ne saranno state altre due o tre, la sera prima di coricarsi faceva il giro della casa e metteva un infinità di trappole, bocconi avvelenati ecc. Al mattino era impressionante lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi nel vedere un numero così grande di animali a pancia all'aria. Non potevamo fare a meno di pensare quanti altri tra grandi e piccoli a nostra insaputa girovagavano durante la notte nei pressi dei nostri giacigli. Anche per questo, forse, il Galleggiante non era mai stato entusiasta di dormire da solo. Io dormivo con mio fratello ed Ennio con Franco. Gli avevamo detto che era stato un riguardo da parte nostra, ma in effetti la verità era che nessuno lo voleva nella sua tenda, perché russava e così, non avendo altra scelta, aveva fatto buon viso a cattivo gioco.
Fu una notte che successe il fattaccio. All'ora in cui il sonno è più pesante, saranno state le due dopo mezzanotte, sentii una voce che chiamava Aligi, Aligi... ma prima di rendermi conto effettivamente di chi fosse quella voce, mi ci volle un certo tempo e altrettanto penso sia successo agli altri. Io addirittura credevo di sognare e mi aspettavo il seguito: "... lascia la zappa fatti pastore e va sulla montagna..." di Dannunziana memoria, ma si trattava di ben altra cosa. Era il nostro Galleggiante che chiamava mio fratello, anzi lo invocava. Alla fine, nel dormiveglia, si decise a chiedergli cosa volesse e lui da buon pistoiese rispose "mi è entrato un bao in un orecchio".
"Non ti preoccupare" replicò mio fratello "te lo leverò a Lucca, ora lasciami dormire". Era come dire che se ne sarebbe riparlato dopo una settimana.
Ma il Galleggiante non si dette per vinto perché si vede che quella prospettiva non doveva essere proprio di suo gradimento e continuò a chiamarlo con toni sempre più lamentosi.
Finalmente ci fu chi si mosse a compassione, si alzò, prese la bottiglia dell'olio d'oliva e ne versò alcune gocce nell'orecchio destro del malcapitato. Neppure dopo un minuto da quella selva di peli, che erano così lunghi da poterci fare comodamente due piccole trecce, ne uscì un millepiedi. Come mise fuori la testa parve abbastanza scocciato, forse perché entrando in quella selva, aveva creduto di trovare un sicuro rifugio, ma al contrario fece una brutta fine, per di più ingloriosa.
Da quel giorno il Galleggiante quando, "all'ora che ai naviganti intenerisce il core", si ritirava nei suoi appartamenti per dormire, non trascurò mai di turarsi bene le orecchie con del cotone. Così facendo ottenne un doppio vantaggio: uno protettivo contro agenti esterni, l'altro di non più svegliarsi al rumore del suo stesso ronfare. (Anno di grazia 196O, Agosto.)
( L'isola di Panarea oggi)
Ruffo
In quegli anni aveva deciso che la sua zona di guardiano abusivo alle auto era piazza Bernardini e pertanto tutti coloro che ci parcheggiavano avrebbero dovuto dargli il giusto compenso. Ma in pratica erano pochi quelli che pagavano e allora avevano inizio le invettive da parte del nostro amico e non risparmiava proprio nessuno.
Io avevo un piccolo magazzino in un interno che aveva l'ingresso in quella piazza.
Ero alle mie prime esperienze di commercio e assieme al Barba mio socio, andavo a vendere con un camioncino nei negozi della Lunigiana tutto quello che era vendibile: dalla spagnoletta di cotone, ai bottoni, dal filato di lana ai cappellini che prendevo a chiodo dalla fabbrica paterna della quale bene o male anche io ero socio.
Inutile dire che il camioncino per forza di cose era sempre in movimento; si andava e veniva diverse volte al giorno parcheggiando per caricare e scaricare.
Ruffo non intendeva ragioni; secondo lui ogni qual volta parcheggiavo, dovevo pagare.
Io naturalmente facevo orecchi da mercante e per la verità erano poche le volte che mettevo mano al borsino. Salivo in macchina e subito, anche a distanza, lo vedevo avvicinarsi con quei passetti corti e svelti. Per dare maggior spinta ai suoi movimenti ed aumentare l'andatura, grassottello e piccoletto com'era, arrivava ancheggiando ed a vederlo era proprio un quadro. Come mi riconosceva il suo viso si trasformava in una maschera di disappunto "ah è Guerrieri" esclamava, come dire "qui non c'è niente da prendere".
All'ora di pranzo toglieva dalla sua borsa un panino, una bottiglia di vino e quello era il suo pasto. Ogni tanto qualche ragazzaccio lo molestava più del lecito e allora si infuriava, prendeva la rincorsa e via all'inseguimento; poi ritornava con l'affanno, deluso e per una buona mezz'ora erano invettive scelte accuratamente dal suo ben fornito repertorio.
Da come si arrabbiava, in più di una occasione ebbi la sensazione gli venisse un malore, ma costretto come era a dover subire, quello era l'unico modo per dare sfogo alla sua collera.
Negli ultimi anni però, pur di raggiungere il suo scopo, aveva escogitato
uno strattagemma. Portava nella piazza dove quel giorno aveva deciso di esercitare la sua professione,
un cartello carpito chissà dove, nel quale giganteggiava una grossa P e sotto la scritta
AUTO PAGAMENTO. Bisogna riconoscere che nel tutelare i propri interessi, Ruffo era tutto men che scemo.
C'erano dei giorni che era anche socievole, specie da quando venni a conoscenza del suo debole, le donne. Se gli davo spago mi raccontava le avventure notturne e non c'era sera a suo dire, che non se la spassasse con qualcuna, che poi immancabilmente lo alleggeriva dell'incasso della giornata. Si rendeva conto di essere sfruttato, lo diceva apertamente, ma nonostante ciò la musica era sempre la stessa.
Mi informavo molto spesso di queste sue notti brave ma le risposte erano sempre le stesse "quella puttana ha voluto un mucchio di soldi" oppure "non mi ha dato neppure il tempo...".
Qualche rara mattina e questo succedeva quando cambiava partner, era abbastanza soddisfatto, ma erano sufficienti un paio di giorni che si era alle solite "tutte puttane, vogliono soldi e basta...".
Per qualche tempo non lo vidi; non ricordo bene per quale motivo, ma credo di ricordare che si fosse ammalato. Comunque un bel giorno ricomparve e ancheggiando, come era uso fare, si avvicinò per incassare.
Mi riconobbe e palesemente deluso "ah è Guerrieri" disse. Al contrario quella volta gli detti qualche spicciolo, al che vidi la sua faccia rasserenarsi e alla mia solita domanda si ritenne pure in dovere, senza farsi tanto pregare, di rispondermi: "sono proprio contento, è bella, sensuale, insomma una bambola, altro che le puttane che avevo prima; pensi l'ho pagata una volta e basta, ora me la dà sempre e gratis, quando e quanto voglio. La scopo anche due tre volte per notte".
Ne fui contento e glielo dissi, consigliandolo pure di non lasciarsela scappare. "Stia tranquillo" mi rispose, "non esiste questo pericolo".
Continuavo a tenermi informato ma non come prima, saltuariamente, perché la cosa non mi divertiva più; comunque le sue risposte mi lasciavano chiaramente intendere che tutto procedeva a gonfie vele.
Passò ancora del tempo e un bel giorno fu lui ad avvicinarmi; "Sa Guerrieri", mi aveva dato sempre del lei anche se a quel tempo ero molto giovane, "la bambola non si gonfia più, come faccio ora? Dovrò mandarla in Giappone per farla riparare... !!!".
Hai capito Ruffo cosa aveva escogitato? Non penso proprio di essere stato capace a nascondere lo stupore per il modo con il quale aveva risolto il suo problema, pagando una volta sola, una tantum e poi sempre gratis e a tutta birra... (metà degli anni 5O c.)
(Racconti senza ritorno-Personaggi e personaggi-1997)
(Ruffo,
re dei parcheggiatori abusivi, colto
in flagrante. - Foto
Coll.L.Ghilardi)
Una brava ragazza
A quei tempi non le mancava proprio nessuno degli attributi che messi come erano al posto giusto, non potevano lasciare indifferente chi avesse avuto l'opportunità di avvicinarla.
Il guaio era che le voci cosiddette maligne insinuavano ci fosse oltre queste sue doti, diciamo naturali, pure come corredo una assoluta mancanza di scrupoli, anche se ben nascosta da una faccia d'angelo e da uno sguardo di un candore a dire poco celestiale.
Io d'altra parte non potevo che acconsentire per tutto quello che i miei occhi potevano vedere, perché effettivamente era un bel pezzo di fica, ma per il resto erano tutte cose da verificare.
Arrivammo alla sua abitazione in un'ora non proprio da visite, ma neppure indecente e quando venne alla porta di casa per aprire, non potei fare a meno di notare che indossava una sottoveste di seta. Devo ammettere, la portava con molta disinvoltura anche se lasciava ben poco alla immaginazione, perché sotto di essa non aveva proprio altro. A quella vista, dopo un momentaneo e comprensibile imbarazzo, non potei che ritenermi favorevolmente impressionato.
Salutò il mio amico con molta effusione e con due bacioni sulle guance. A me disse ciao, senza neppure sfiorarmi con lo sguardo e questo fu il nostro primo incontro al quale, nel corso degli anni, ne seguirono tanti e tanti altri.
Devo dire che i nostri rapporti furono e rimasero sempre improntati da una conoscenza di due persone che qualche volta facevano anche qualche affare, ma niente di più; meglio aggiungo se non ci fossero mai state queste opportunità, ma naturalmente lo dico con il senno del poi.
Per il resto, il sesso intendo, volutamente lo ritenni un tabù ed anche se le occasioni, casuali o meno non fossero mancate, a costo di passare per pirla, mai mi feci tentare di saltarle addosso.
Un giorno mi capitò di presentarla ad alcune persone e tra queste c'era un mio amico, il quale non pose tempo in mezzo e cominciò a corteggiarla in modo tale da non lasciare il minimo dubbio di essere stato letteralmente folgorato dalle di lei grazie.
Ritenni doveroso, sia pure in modo garbato e blando, di metterlo al corrente sulle voci che correvano sul suo conto ma la sua risposta fu quella di sempre "Stai tranquillo che non è ancora nata la donna che mi può incastrare". Naturalmente non replicai ed anche in seguito mi guardai bene di entrare in argomento, adeguandomi a quello che ritenni il suo desiderio.
Passò del tempo e ormai era dominio pubblico che i due tubassero felici e contenti e con il vento in poppa. Non potei che prenderne atto, pur restando sempre dubbioso quella relazione potesse durare ancora per molto.
Ormai ci vedevamo molto raramente e fu una sorpresa incontrarlo un giorno a Viareggio. Era solo e stava bighellonando sulla passeggiata a mare.
Non mi dette neppure il tempo di aprire bocca per salutarlo che mi apostrofò: "Sai con lei è tutto finito" e aggiunse "certo però che persone mi presenti...". Rimasi allibito, ma dopo un breve momento di impaccio, ritenni doveroso ricordargli le mie allusioni di un tempo e quale risposta seppe darmi. Non volli esagerare e rispondere per le rime come si sarebbe meritato, solo perché capii che qualche cosa di grave doveva essere successo. Non nascondo che mi era venuta anche la curiosità di sapere come effettivamente fossero andate le cose, ma era palese che non avrei dovuto attendere molto perché avevo capito di essere in quel momento la persona giusta al posto giusto, l'amico disposto a lasciarsi poggiare la testa su una spalla, ascoltare pazientemente la sua storia e soprattutto permettergli di dare sfogo a tutta la rabbia che senz'altro aveva in corpo.
"Come capita in quasi tutte le cose di questo mondo," iniziò "un certo momento decisi di porre fine a questa relazione anche suffragato dal suo comportamento che negli ultimi tempi era stato, a dire poco, scorretto. Fin qui tutto bene. Anche lei convenne che porre fine a quella tresca, così definì il nostro rapporto, era tutto sommato una saggia decisione; che ognuno prendesse la sua strada e riacquistasse la propria libertà. Parole sante e prendendo atto di questa sua disponibilità, per non urtarla mi guardai bene di farle notare che in quanto a libertà lei se l'era già presa da qualche tempo. Solo le chiesi come e quando mi avrebbe restituito i denari che in varie occasioni le avevo prestato". A questo punto mi spiegò che la sua amica in più di una occasione, si era trovata in difficoltà o per l'assegno in scadenza e senza fondi in banca, o per la cambiale dal notaio un passo dal protesto e come lui avesse fatto fronte con l'impegno della restituzione a breve termine. In realtà questo suo credito era aumentato sempre di più e aveva raggiunto una cifra ragguardevole.
"Fu piuttosto ambigua nel rispondermi" continuò "però credetti di capire che aveva bisogno di tempo. Naturalmente acconsentii e lasciai passare qualche settimana, ma non vidi il becco di un quattrino; anzi si era resa irreperibile anche alle mie telefonate che ovviamente, ogni giorno che passava, si facevano sempre più pressanti. Allora presi la decisione al momento più ovvia: andai da un avvocato mio amico, al quale detti l'incarico di effettuare un primo sollecito per il ricupero del mio credito. Questa volta la risposta non si fece attendere, fu sotto forma di un estratto conto nel quale risultava essere lei creditrice nei miei confronti". "Ma allora" lo interruppi "tu non potevi ignorare questo suo vantato credito, perché non ti sei risparmiato la brutta figura ..".
Non mi lasciò proseguire e per tutta risposta tirò fuori da una tasca della giacca un foglio sul quale era segnato un lungo elenco, tipo conto della serva, che al primo sguardo capii che si trattava di certe prestazioni da lei fatte durante il periodo del... vento in poppa.
A lato di ogni prestazione, e ce ne erano per tutti i gusti, aveva meticolosamente segnato il numero ed il relativo prezzo. più o meno così "tante seghe a lire... totale... e continuava con le scopate a lire... totale... poi venivano i pompini, le prestazioni anali ecc". La posizione con la quale a suo dire venivano fatte ed il luogo dove si erano svolte, avevano il loro peso sul prezzo. Per ultimo ne seguivano altre diciamo minori, o quanto meno da lei ritenute tali, che aveva raggruppato in un unico prezzo.
Non aveva trascurato proprio niente e ne era venuto fuori una specie di diario di un amore fatto di sesso e di amplessi, non certo disinteressato, ma tutto sommato, almeno nel prezzo, onesto. Basti pensare che le marchette, anche per quei tempi, erano a prezzi stracciati e senz'altro inferiori a quelli che poteva praticare una qualsiasi battona di infimo rango.
Morale della favola e dulcis in fundo. L'avvocato gli aveva fatto capire che era meglio interrompere ogni azione legale perché, a suo avviso, qualsiasi giudice avrebbe presa per buona la tesi della sua ex amica. "Solo" e me lo disse con un nodo alla gola "mi avrebbe consigliato di tentare di ricevere qualche altra prestazione nel caso non avesse voluto stralciare sul prezzo, in modo che almeno il loro costo medio sarebbe ulteriormente diminuito... e questo" concluse "anche se è un amico ed intendeva scherzare, poteva proprio risparmiarselo"
A mia volta pensai che, nel fare quella infelice battuta e di pessimo gusto, senza volerlo, quel suo amico aveva completato il quadro, aggiungendo la classica ciliegina che mancava per porre degnamente la parola fine a quella sporca faccenda. (Prima metà degli anni 60.)
(Racconti senza ritorno-Personaggi..e personaggi-1997)
Il Cit
Era lo zimbello di noi ragazzi e tutti i pretesti erano buoni per punzecchiarlo e deriderlo. La sua diversità non era un mistero per nessuno nel paese ed a noi, a quell'età, non mancava certo quel minimo di cattiveria per rendergli la vita non proprio facile.
Addetto alle pulizie delle latrine pubbliche che erano poste nel bel mezzo della piazza del mercato, per quanto si poteva capire, in quella mansione, ci si doveva trovare perfettamente a suo agio. Ho sempre pensato alle opportunità che un posto simile poteva dare per incontri di un certo tipo, decisamente squallidi.
Longilineo, sinuoso, usando la scopa muoveva il sedere in modo provocante. Non faceva che cantare e spesso lasciava che i suoi lunghi capelli, biondi e ossigenati, gli scendessero fino a coprirgli il viso. Poi, in un momento di pausa, li ricomponeva con i due anulari e l'aggiunta di un colpetto civettuolo della testa all'indietro. Nonostante tutto, anche se non eravamo certo teneri con lui, Cit che era il suo soprannome, aveva l'aria di sopportarci anche più del consentito, forse speranzoso che una volta o l'altra qualche pesce, piccolo o grande che fosse, sarebbe rimasto impigliato nella sua rete.
In effetti aveva tentato alcuni approcci con un nostro coetaneo e che non avevano lasciato ombra di dubbio sulle sue reali intenzioni. Anche se non ci fu un seguito, decidemmo ugualmente di fargliela pagare con uno scherzo, che non avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Da parte di noi ragazzi fu decisa una sorta di tregua nei suoi confronti, evitando di infastidirlo e dandogli pure la possibilità di dialogare con uno di noi, precisamente quello che sapevamo essere il favorito del momento, che naturalmente mostrò una certa disponibilità ai suoi sorrisi e alle sue piccole provocazioni.
Il risultato non tardò e giunse con l'invito ad un incontro al chiaro di luna tra gli ulivi, sulla salita di Buggiano.
Molto in anticipo, eravamo una dozzina di ragazzi, ci nascondemmo nei pressi del luogo dell'appuntamento e solo il favorito, un quindicenne mio coetaneo, rimase ben visibile ed in attesa.
Arrivò in perfetto orario, guardandosi furtivamente attorno, forse per fugare ogni residuo di titubanza che poteva essergli rimasta. Una volta accertato che tutto era normale, forse per il gran desiderio, non pose tempo in mezzo; si liberò dei pantaloni e di ogni altro indumento e nudo come un beco si gettò sulla vittima la quale, non aspettandosi una simile irruenza, si spaventò a morte e solo il nostro provvidenziale intervento lo liberò da quell'improvviso assalto. Uscimmo allo scoperto armati di ramoscelli di ulivo, non tanto ramoscelli e non certo in segno di pace e mettemmo a dura prova il suo sedere.
Sembrava un maialino sgozzato da quanto urlava; si raccomandava a tutti i santi e tra un singhiozzo e l'altro ci invocava di smettere. Finalmente soddisfatti, con la stessa velocità con la quale l'avevamo aggredito, ci lanciammo giù per la discesa che portava al Borgo, assieme alle sue brache e quanto altro si era tolto. Il seguito lo lascio immaginare.
L'episodio si era svolto nel 194O perciò all'inizio della seconda guerra mondiale durante le vacanze in una di quelle lunghe sere estive nelle quali noi ragazzi non sapendo cosa fare, eravamo sempre alla disperata ricerca di qualche diversivo.
Una volta di nuovo a casa, non più al paese ma a Lucca, iniziai a frequentare l'università di Pisa facendo nei primi tempi e tutti i giorni, il viaggio di andata e ritorno in treno. Una sera, mentre stavo rientrando e cercavo nella vettura dove ero salito un qualsiasi posto, non certo per sedere, ma per trovare almeno lo spazio di dove poter mettere i piedi senza danneggiare quelli degli altri, chi non incontro? Si proprio lui il Cit.
Mi fece festa come fossi stato il suo più caro amico, non senza un certo mio imbarazzo, essendo ben palese la sua diversità. Cominciò a chiedermi tante cose che a prima vista potevano sembrare un sincero interessamento per quello che poteva essermi capitato negli ultimi due tre anni, ma io sin dall'inizio avevo intuito dove voleva arrivare e quando formulò quella domanda che avrebbe dovuto mettermi in serio imbarazzo con tutta quella gente che non poteva non ascoltare, ormai ero preparato e non mi scomposi più di tanto.
"Ma allora tu eri al Nord con i repubblichini...", come non ne fosse stato al corrente dato che al paese era di dominio pubblico "ma perché, non lo sapevi?" fu la mia risposta. Sentii il peso degli occhi di tutti i presenti posarsi su di me, ci lessi odio, rancore, alla migliore delle ipotesi meraviglia, mai solidarietà o comprensione, ma contrariamente a quanto pensava e sperava lui, non ci fu commento alcuno, né la più piccola reazione da parte dei presenti. Non volevo in alcun modo dare a quell'individuo la soddisfazione di avermi messo in imbarazzo, mi ero caricato al punto giusto e dato che certe cose si avvertono, questo mio vantaggio psicologico forse aveva evitato il peggio. Quella sua domanda provocatoria, era volutamente una cattiveria, e penso in gran parte ispirata dal ricordo di quella famosa sera di alcuni anni addietro nella quale alcuni ragazzacci gli avevano messo a nudo e sculacciato con ramoscelli di olivo le vergogne.
Dopo questo fatto quel piccolo senso di colpa che sempre era rimasto dentro di me, svanì come neve al sole.
Ora lo potevo vedere nella sua realtà e nella pienezza della sua miseria, e senza scusanti. Comunque, per il male che gli volevo, per me poteva tranquillamente ed in letizia continuare a vivere tutti i suoi giorni dentro quelle latrine che tanto amava, il salotto buono per un simile personaggio. (1940-1946.)
(Racconti senza ritorno-Personaggi....e personaggi-1997)
(La foto del "CIT" è un dipinto opera del pittore G. Giannini, 1994)
Giggè
Ormai sono anni che non ci vediamo, ma nonostante questo, prima o poi dovevo decidermi a farlo. Cosa? Ucciderti. Si, perché devi sapere che questa notte ti ho sognato, ma più che un sogno è stato una vera e propria resa di conti.
Me ne hai combinate tante in cinquant'anni ed oltre che ci conosciamo e si vede che proprio questa era la volta buona. Ti ho ammazzato, ma purtroppo non ricordo come ed il bello è che, già subito dopo il fattaccio, non essendomi piaciuto il modo con il quale ti ho eliminato, ho pensato bene di farti risuscitare per ucciderti nuovamente, diciamo con più convinzione. Però ce ne è voluto del tempo, perché sempre al momento giusto, capitava l'imprevisto e così, da un imprevisto all'altro, è trascorsa buona parte della notte. Finalmente ci sono riuscito, o forse no, ma lo sai che non lo ricordo? Ma direi proprio di non esserne stato capace e poi, credi a me, è più difficile di quanto possa sembrare. Ma la notte è lunga e così, ho avuto tutto il tempo per ripercorrere le tappe più salienti della nostra amicizia, dato che, tutto sommato, la nostra è stata una grande amicizia, racchiusa in un itinerario lungo tutta una vita.
Come dimenticare quando quindicenni (si era nel 1940) ci conoscemmo al navale di Venezia proprio il primo giorno, quello del concorso. Per essere ammessi, esisteva una graduatoria, a seguito di una prova scritta, un colloquio e alcuni esercizi in palestra. I posti disponibili per il gruppo scientifico del corso Freccia erano ventisei e tu risultasti il ventisettesimo. Facesti tenerezza a tutti con quei lacrimoni che proprio non riuscivi a trattenere perché fortemente volevi essere uno di quei fortunati che per quattro anni si sarebbero fatti un bel mazzo. Ma non importava, tutti pur sapendolo, ugualmente lo volevamo e così la tua tristezza divenne un poco anche la nostra. Però, non so come, forse per rinuncia di uno dei concorrenti ammessi, o chissà cosa d'altro, fatto sta che ti rividi il primo giorno di scuola nell'aula della prima liceo scientifico, allegro e pimpante. Prendesti possesso del banco accanto al mio al momento libero e da allora non mi mollasti più.
Naturalmente ti dimostrasti subito un grande rompiballe a tal punto che il tuo omonimo. (Il suo vero nome era Giuseppe Ponchietti ma per tutti noi da subito fu Giggè), il Bullo al confronto era un angioletto.L'abitudine di accompagnare il tuo dire romanesco con movimenti inconsulti delle tue piccole mani, che inevitabilmente finivano per prediligere la zona prospiciente il viso, mi innervosiva oltre ogni dire. Neppure il pugno che un giorno ti affibbiai, dopo quasi due anni di sopportazione e che ti spezzò un dente, servì a molto; anzi per tutto il resto della vita, fu la mia croce e da allora qualsiasi occasione era buona, per mostrare quel dentino monco a perenne testimonianza della mia cattiveria.
Però, debbo riconoscere che in quei tre anni passati al navale, anni abbastanza duri per tutti, forse per te lo furono un pò di più degli altri, ma con la tua tenacia, trovasti sempre il modo di superare tutte quelle difficoltà che man mano si presentavano.
Poi vennero il 25 Luglio e l'8 Settembre del 1943. Mi arruolai e quando prima di andare al reparto che mi era stato assegnato nella S.Marco, fui inviato in un paese sperduto sui monti per fare pratica di armamento tedesco, una notte in piena tormenta di neve, chi non viene a svegliarmi tra tutte le persone che conoscevo al mondo? Proprio tu Giggè che pure ti eri arruolato. Strano, solo ora mi sovvengo di non averti mai chiesto come facesti a trovarmi. Ma per questo eri un mago anzi un folletto; le tue apparizioni erano quasi sempre imprevedibili e spuntavi come un fungo, così dal nulla.
Anche quella volta, a guerra finita da una dozzina di anni, in occasione del primo raduno degli ex del navale sempre a Venezia, non avendo trovato di... peggio, fui costretto a pernottare al Danieli. Di prima mattina, mentre me ne stato in camera cercando di sfruttare al massimo quel benessere al quale, mio malgrado, ero stato costretto, chi mi apparve in camera? Inutile dirlo. Non perdesti tempo, trovasti subito gli argomenti per rivoluzionarmi la giornata e programmarla a tuo piacimento; poi dato che a tuo avviso il mio abbigliamento non era consono alla circostanza, miracolo, dal tuo armadio spuntò un abito blu che, una volta provato, mi stava a pennello. Dicesti: "ero certo che ti avrei trovato e conoscendo la tua trascuratezza nel vestire, ho pensato bene aggiungere nella valigia un abito per te".
Fu proprio in occasione di una di queste prime visite che mi raccontasti della tua fuga in Francia subito dopo la guerra, dell'arruolamento nella legione straniera, della guerra in Vietnam e come, passo dopo passo, ti guadagnasti la cittadinanza francese. Io aggiungo che tra un atto e l'altro, avevi anche imparato a conoscere quale era la giusta gradazione nel servire lo champagne ed il modo di versarlo nella coppa. Ne facevi sfoggio con un orgoglio tutto francaise che neppure minimamente ti preoccupavi di celare, lo stesso orgoglio del resto che mostravi per quell'accento nella i finale del tuo cognome, ma per me eri rimasto il solito Giggè, con l'accento finale sulla e.
Con quel nome tornasti in Italia, iniziasti un lavoro, poi un altro ancora, ma inevitabilmente, dopo poco, c'era sempre qualche cosa che non andava per il verso giusto e il sottoscritto regolarmente ci lasciava qualche penna.
Le ferie, mi auguro ricorderai, le passavi prima nella mia tenda, poi nella mia roulotte ed infine nella mia casa in Sardegna. Io tutto questo lo giustificavo, anche con mia moglie, dal fatto che non avevi ancora messo su famiglia. Naturalmente la tua prima apparizione a costa Paradiso fu alla grande, senza alcun preavviso e per di più portandoti dietro un amico. Affascinato del posto volesti comprare un terreno che poco dopo, onde evitare brutte figure, pur non avendone l'intenzione, per forza di cose, divenne mio.
Poi un bel giorno, chissà da dove, spuntò una figlia ormai svezzata e da marito. In seguito a Milano, per una certa situazione che si era creata, fosti costretto a presentarmi una prima moglie (quella vecchia), che però capii non essere la madre della ragazza che avevo conosciuto. Poco dopo, venendo a Lucca, ti portasti al seguito la seconda moglie, più o meno coetanea di tua figlia. Sinceramente pensai che ormai era arrivato il momento anche per te di imboccare la via maestra, ma dovetti ricredermi.
L'ultima sorpresa me la facesti al porto di Genova da dove ci dovevamo imbarcare per Porto Torres. Superasti te stesso presentandomi una nuova moglie che si diversificava dalle altre solo per un piccolo particolare: poteva essere tranquillamente tua nipote. Quando arrivasti era già notte fonda e il piazzale delle macchine in sosta per l'imbarco, luogo del nostro appuntamento, non era illuminato e così come si aprì la portiera della tua auto, pensando di avere a che fare con la moglie che ben conoscevo, mi comportai come ormai facevo da tempo, con effusione, con baci e abbracci. Mi venne per la verità qualche dubbio ma solo quando ormai era tardi. Le presentazioni di rito e le necessarie spiegazioni, furono fatte una volta imbarcati.
Non passò molto tempo che venne il fattaccio, quello che proprio non avresti dovuto fare, che non voglio raccontare, ma che comunque fu la causa per la quale decretai la tua condanna a morte.
L'ultima volta che ti sentii al telefono, mi accennasti che eri malato e che forse potevi anche morire; io ti risposi crepa ma lo dissi con la bocca non lo pensai veramente e anche questa notte in sogno ho ucciso chi mi aveva tradito, ferito e anche deluso, ma subito dopo ho risuscitato l'amico e questo, dico l'amico, non mi è stato proprio possibile farlo fuori. So come andrà a finire questa storia, certo, potrei giurarlo. Quando meno me lo aspetto, come un folletto ti vedrò apparire, mi racconterai una bella favola gesticolando con le tue piccole mani, fino a sfiorare pericolosamente la mia faccia. Alla mia prima reazione non metterai tempo in mezzo e mostrandomi il famoso dentino che un lontano giorno con un pugno ti avevo spezzato, mi dirai «Non cambierai mai, sei rimasto il solito cattivo amico ..». (Nel corso degli anni.)
(Racconti senza ritorno-Personaggi...e personaggi-1997)
Cirillo
Non era un gioioso cinguettio quello che usciva da quel piccolo becco ma piuttosto un disperato appello di diritto alla vita che, manco a dirlo, non lasciò indifferente Maria.
Raccolse da terra quella piccola cosa, se la mise sul palmo della mano e istintivamente cercò di individuare da dove era caduto. Sopra la sua testa a due metri o poco più d'altezza c'era un bel nido di merlo fatto ad opera d'arte, ormai desolatamente vuoto e che da un mio controllo ravvicinato risultò infestato di pidocchi, quasi certamente la causa dell'abbandono da parte della madre e della prole.
Tra noi non ci fu una parola ne' uno sguardo di intesa, ma eravamo coscienti che da quel momento la famiglia era aumentata. Mia moglie prese la solita scatola da scarpe, fece i soliti buchi e ci mise il piccolo merlo che nel frattempo non aveva cessato un secondo di farsi sentire. Un tentativo di alimentarlo con mollica di pane imbevuta nel latte e dopo, essendosi esaurite tutte le nostre conoscenze e rimembranze giovanili, non ci restò che andare da chi ne sapeva più di noi.
I risultati si videro subito: una polverina eliminò quei fastidiosi insetti dai quali era infestato, un mangime appropriato, una piccola ma comoda gabbietta e come d'incanto cessò quel disperato appello.
Andava alimentato molto spesso e lo facevamo con un bastoncino incavo e dopo un paio di giorni di dubbi, capimmo che ce l'avrebbe fatta. Ormai Maria era impegnata a tempo pieno a tal punto che Bibò il piccolo Bolognese di nostra figlia, parcheggiato da noi e innamorato pazzo di Maria, cominciò ad impensierirsi.
Cirillo fu chiamato e anche se con il tempo ci accorgemmo che era una femminuccia, Cirillo rimase. L'alimentazione non era più un problema e come qualcuno di noi si avvicinava, apriva il becco in modo molto eloquente e si lasciava imboccare
Intanto stava facendo passi da gigante. La mattina Maria gli apriva la gabbia e lo lasciava libero. Cominciò a fare piccoli voli ma avemmo l'impressione che un'ala precisamente quella di sinistra la tenesse più bassa rispetto al l'altra e convenimmo che fosse una conseguenza della caduta dal nido e il motivo per il quale stentasse a volare. Zampettava in lungo ed in largo sotto gli alberi e gli occhi vigili di Maria e Bibò; faceva il bagno nella vaschetta piena d'acqua che era stata predisposta in giardino, ma di volare non se ne parlava.
Se a volte si allontanava bastava chiamarlo che accorreva saltellando. Si interessava alle cose che lo circondavano, particolarmente agli altri uccelli.
Ad una certa ora del pomeriggio Maria lo chiamava e lui si lasciava prendere e mettere in gabbia dove restava per tutta la notte, ma noi ci chiedevamo se avrebbe mai volato. Aveva cominciato anche a beccare del mangime e razzolare dove trovava della terra smossa e un giorno, improvvisamente spiccò un bel volo, si adagiò su un ramo di un albero e da quel ramo su un altro ancora e così via fino a raggiungere la punta più alta.
Ormai era fatta; da allora se lo volevi vedere, dovevi alzare lo sguardo sulle cime più alte degli alberi del giardino.
Dopo alcuni giorni pensai che era arrivato il momento di lasciarlo andare e una sera quando Maria lo prese per metterlo in gabbia le dissi "lasciamola aperta così se vuole andare è libero di farlo, oppure portiamolo nel bosco". "No" mi rispose: "è troppo pericoloso, la notte ci sono le Civette, poi ancora non credo sia autosufficiente; meglio attendere un giorno o due". Il giorno successivo e quello successivo ancora gli dedicò molte ore e la sera a cena mi disse: "ormai ci siamo".
All'indomani, mentre stavo in ufficio, mi telefona e con una voce rotta dai singhiozzi mi dice: "Cirillo è morto". Rimasi muto per alcuni secondi cercando di convincermi che non avevo capito bene, poi le chiesi: "come è possibile...". "L'ha mangiato il gatto" e tolse la comunicazione.
Alcuni ciuffi di penne della coda erano rimasti per terra a testimonianza dell'accaduto e questa inconfutabile prova non ci dette neppure la possibilità di illuderci e di sperare che se ne fosse andato via per vivere la sua vita che con tanto accanimento aveva cercato di conquistarsi.
La vita, perché no? è fatta anche di queste (poi mica tanto) piccole cose, che ti lasciano l'amaro in bocca e dentro quel non so che... (Casa s.Vito - Ottobre 1994.)
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
(La foto di Cirillo è un dipinto del pittore G. Giannini, 1994)
Il rimpasto
Nonostante i nostri gusti in fatto di tempo libero fossero completamente diversi, decidemmo ugualmente di andare assieme in ferie.
A pensarci bene avevamo qualche cosa in comune ed era una certa debolezza verso il gentil sesso che poi è una prerogativa comune a tutti gli uomini o quasi, comunque nella circostanza fu determinante. Ci dicemmo "rimorchiamo due ragazze e andiamo da qualche parte al mare". Si era in pieno Agosto e non c'era tempo da perdere, ma capimmo pure che così su due piedi non sarebbe stato facile trovare due pulzelle amiche tra loro, disponibili, che andassero bene a noi e noi a loro. Un mio amico avrebbe detto: "troppa grazia S.Antonio".
Dopo alcuni e inutili tentativi convenimmo che l'unica possibilità era di rivolgersi ai.... vecchi santi, ma il barba, così chiamavo mio socio perché portava una barbetta a dir poco bizzarra, in quel periodo era al corto sia di santi vecchi che di nuovi.
Io al contrario avevo una ragazza, Carla, la quale proprio un paio di giorni prima mi aveva presentato una sua amica veramente niente male; poteva essere la coppia giusta, ma c'era un piccolo problema che io non avevo nessuna voglia di portarmi appresso la ragazza che avevo, visto che ormai il mio interesse nei suoi confronti era pressochè esaurito. Comunque a tagliare la testa al toro ci pensò l'altra la quale, una volta che le fu presentato il barba e interpellata, cominciò a storcere la bocca e lasciò chiaramente intendere che non era proprio il suo tipo.
Così eravamo al punto di partenza. Se volevamo fare queste benedette ferie, dovevamo studiare qualche altra soluzione. Fu così che a forza di rimuginare mi venne l'idea così detta vincente, tentare un rimpasto. Pensai che se lo facevano i nostri governanti e il più delle volte funzionava, per quale motivo non doveva funzionare a noi ?
Come prima cosa cercai di capire se l'amica aveva nei miei confronti la stessa poca disponibilità dimostrata verso il barba, o se invece potevo sperare in qualche cosa di meglio; c'era un unico modo per saperlo. Mi misi all'opera bruciando i tempi in considerazione che eravamo alle porte con i sassi e il risultato fu lusinghiero. Contemporaneamente presentai barba a Carla che mi sembrò favorevolmente impressionata e lui addirittura ne fu entusiasta.
A questo punto si trattava di scoprire le carte. Mi ci sarebbe voluta una buona dose di "savoir faire" ma soprattutto una gran bella faccia tosta, che però a venticinque anni o poco più non mi mancava.
"Senti Carla" le dissi "se dobbiamo fare queste benedette ferie è necessario che noi due ci adattiamo; in fin dei conti staremo sempre tutti assieme, si tratterà solo di qualche ora la notte e tutt'al più di qualche extra ma che poi anche a te non dispiacerà visto che barba, almeno questa è stata la mia impressione, tutto sommato non ti dispiace. Poi scusami il termine, non è mica un toro infuriato, c'è tutto il tempo per fraternizzare e vedrai che passeremo una bella settimana"; "inoltre" aggiunsi "anch'io sto facendo la mia parte". Per ultimo le feci capire che non era indispensabile parlare al mio socio dei nostri precedenti rapporti.
Fu un tira e molla che si protrasse per un paio di giorni, tutto il tempo che le avevo dato per prendere una decisione e che avevo ritenuto sufficiente per salvare la faccia nei miei confronti. Avevo perfettamente capito che ci teneva troppo a questa gita e che non era intenzionata a rinunciarci.
Fu così che una bella mattina partimmo tutti e quattro destinazione l'Adriatico e solo una volta arrivati avremmo deciso dove fermarci. La prima sorpresa l'ebbi nel vedere come arrivò il barba bardato di tutto punto completamente vestito da cacciatore e con il fucile a tracolla. Gli dissi: "Ma barba, come ti sei vestito". Lui mi fece un cenno ed aggiunse molto sottovoce: "lascia correre, ne parleremo dopo". Alle ragazze spiegò che lungo la strada dell'appennino ci sarebbe stata la possibilità di cacciare qualche volatile. Dopo, naturalmente in separata sede, mi spiegò il vero motivo di quella bardatura non certo idonea per uno che si accingeva ad andare al mare. Catera, sua moglie, non l'avrebbe bevuta di certo se le avesse detto che si trattava di un viaggio per lavoro, come in precedenza aveva pensato, dato che in pieno Agosto quasi tutti i negozi erano chiusi. l'unica cosa alla quale poteva credere, era proprio una battuta di caccia sapendolo un accanito cacciatore. Per quanto mi riguardava non avevo problemi dato che ero libero come l'aria.
Avevo una Topolino ed in quattro ci si stava come acciughe; ci mancava anche il fucile e tutto il resto. I nostri oggetti personali avevano finito per occupare ogni residuo di spazio disponibile.
Passammo per la Val di Nievole ed a Pistoia prendemmo la Porrettana; quando arrivammo a Porretta Terme era giusto l'ora per la cena.
Lungo la strada ci eravamo fermati varie volte visto che la fuoriserie sovraccarica come era, una volta iniziata la salita, aveva cominciato a dare sintomi di stanchezza ed anche, avevo pensato, che queste soste ci avrebbero permesso di dialogare e dare a noi tutti la possibilità di fraternizzare e superare l'imbarazzo che sempre si crea agli inizi tra persone che poco si conoscono.
Il pranzo lo avevamo consumato in un prato lungo la strada sotto alcuni alberi che ci avevano permesso di passare al fresco le ore più assolate.
Tutto sommato l'inizio faceva ben sperare per i giorni a venire e l'allegria senza alcun dubbio, non sarebbe mancata.
Durante queste soste avevo raccomandato al barba di comportarsi bene con Carla e, conoscendolo, di frenare i suoi bollori; Temevo ma questo mi guardai bene dal dirlo, la mia presenza potesse mettere in imbarazzo la ragazza e in qualche modo ostacolasse eventuali loro futuri approcci. Dopo cena, ci eravamo fermati a Porretta Terme, restammo a lungo a chiaccherare e quando ormai era tardi decidemmo di pernottare in loco. Ognuno andò nella sua camera e io, dopo un paio di servizietti che pure la mia compagna sembrò gradire, le voltai il culo e mi addormentai.
Ero caduto in un sonno profondo e m ci volle del tempo prima di capire che stavano bussando con insistenza alla porta. "Chi è?" chiesi. "Sono io, aprimi", era il barba . Mi vidi davanti una pertica di quasi due metri, a piedi nudi, in mutande e canottiera che con gli occhi fuori dall'orbita e senza neppure darmi il tempo di aprire del tutto la porta mi dice: "non me la vuole dare" Proprio così, senza preamboli e mezzi termini.
A quella visione donchisciottesca e nell'udire quelle poche parole ma così incisive e quasi disperate, non ce la feci proprio a trattenere il riso, ma così convulso da non sapere come fare a smettere; per fortuna, poco a poco, anche lui ne fu contagiato e così si venne a creare un clima più disteso e sereno.
Solo quando tutto tornò normale e lo vidi disponibile al dialogo, gli dissi: "Ti capisco barba e sono solidale, ma cosa ci posso fare? Io fossi nei tuoi piedi, non insisterei ulteriormente. Aspetta a domani; avrai tutta una giornata per chiarire quello che ci sarà da chiarire, ma vedrai che le cose andranno a posto da sole. Insomma comportati come Cincinnato". "Come chi?". "Non importa" risposi. Un giorno mi aveva confidato che la storia a scuola non l'aveva proprio mai digerita e comunque, a questo punto, gli spiegai che si trattava di temporeggiare. Mi sembrò convinto che non era il caso di drammatizzare e che tutto sommato era meglio tornare in camera anche se per quella sera sarebbe dovuto restare a bocca asciutta. Pure io me tornai a letto e rimuginando l'accaduto mi sentii un poco responsabile essendo consapevole che in quella faccenda non ero del tutto estraneo. Ne ebbi la conferma la mattina dopo, ma comunque tutto questo e non lo dico a mio vanto, non mi impedì di riprendere un certo discorso con la mia compagna che nel frattempo si era svegliata e che almeno al momento avevo ritenuto, concluso.
L'indomani una breve colazione e partenza. Nella tarda mattinata arrivammo a Rimini. Avevo concordato con barba che avrei parlato con Carla e chiarito una volta per tutte. Solo lei si doveva decidere, se volevamo uscire da questa situazione a dir poco boccaccesca. Come temevo la causa di tutto ero io. Mi giurò e spergiurò ci averci messo tutta la buona volontà ma come arrivavano al sodo, le veniva una forma di rigetto nel sapermi in una camera accanto con la sua migliore amica.
Le feci notare che la cosa era risaputa anche da prima e che era cresciuta abbastanza per immaginare cosa sarebbe successo.
Mi dette ragione, si era comportata da stupida ma era stato più forte di lei, però durante la notte aveva avuto tempo e modo di riflettere. "Non ci sono più problemi" aggiunse "credo proprio di avere esagerato. In quei momenti mi sono sentita cadere il mondo addosso, ma ora ho le idee chiare e il merito è anche tuo: ho capito che tra noi ormai tutto è finito". Riferii a barba la parte che gli interessava sapere e mi parve tranquillizzato.
Facemmo un bel bagno in mare, pranzammo con del pesce, bevemmo del buon vino e dopo, come si trovò una piccola pensione che faceva al caso nostro accogliente e di poco costo, su proposta del mio socio decidemmo per una pennichella. Non è che ne avessi tanta voglia, anzi per essere sincero nemmeno un poco, ma pensando al suo mancato ius cunnàticis o ius primae noctis come dir si voglia, non ebbi il coraggio di contraddirlo e ritenni giusto che finalmente avesse l'opportunità di concludere il suo discorso iniziato la sera prima.
Questa volta alla porta della mia camera si affacciò Carla; grossi lacrimoni le scendevano dalle guance e non occorsero tante parole per capire cosa fosse successo. Pregai l'altra di uscire e ancora una volta tentai di rattoppare in qualche modo una situazione ormai divenuta disperata, ma devo dire senza convinzione. Morale mi ritrovai coinvolto in una situazione tale che... non mi restò che dare anche a lei un contentino che poi risultò essere l'ultimo.
Dopo, tutti convenimmo che non era più il caso di insistere; caricai le due ragazze in macchina e le portai alla stazione. Feci due biglietti per Lucca, naturalmente solo andata, tentai un discorsetto di circostanza, infine detti loro due buffi sulle guance e senza averne l'aria, me la squagliai il più veloce possibile.
Naturalmente mai mi permisi contraddirlo pensando che non per niente esisteva il detto mal comune mezzo gaudio, anche se non era proprio adatto al nostro caso, ma d'altra parte non eravamo soci al cinquanta per cento?
Comunque la cosa certa e inconfutabile fu una sola, quel rimpasto risultò un vero disastro, tutto a senso unico e credo proprio che anche nella storia della nostra repubblica che ne ha avuti di tutti i tipi e colori, mai ce ne sia stato uno come il nostro, che abbia corrisposto così poco alle aspettative che si era prefisso. (Agosto 195O)
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
La mamma di latte ed il babbo di legno.
Facendo la strada provinciale che da Lucca porta a Pescia comunemente conosciuta come la via pesciatina e che prosegue per la Val di Nievole, sulla sinistra, ad un certo punto, costeggiando un torrente, c'era una strada bianca che in pochi minuti portava in un piccolo borgo. Ricordo uno spiazzo a destra circoscritto dalla strada medesima e da un casamento fatto a L di incerta datazione e piuttosto malandato. Al primo piano c'erano alcuni appartamenti e proprio in uno di questi ho vissuto i primi mesi della mia vita perché era in quel luogo che i miei genitori mi avevano portato a balia. Ci abitava la mamma di latte, una donna che ricordo secca allampanata e che la gente del posto poi seppi malignava che fossi stato io... a prosciugarla in quel modo.
Naturalmente c'era pure suo figlio, mio fratello di latte, e suo marito, il babbo di legno. A proposito di questo nome non so se in zona lo dessero a tutti i mariti della balie, comunque io l'ho sempre ricordato con quel nome. Forse, non essendo parte in causa del soggetto da allattare, in quella particolare circostanza era inutile, stava li come un pezzo di legno, ma essendo pur sempre marito della mamma di latte non poteva che chiamarsi... babbo di legno. Naturalmente è una mia personalissima interpretazione, ma tutto sommato, ritengo abbastanza vicina all'origine di quel nome.
Ancor oggi a distanza di tanti anni, ho ben chiaro nella mente queste tre figure verso le quali provavo quasi lo stesso affetto che potevo avere per i miei cari. Da ragazzo per quanto possa ricordare, non facevo differenza alcuna. Li vedevo abbastanza spesso e non era raro che ottenessero il permesso di portarmi qualche volta a casa loro.
Con il passare degli anni, le visite cominciarono a diradarsi anche perché all'età di otto anni ero già in collegio, ma durante le vacanze estive c'era sempre modo di incontrarli. La distanza era minima pochi chilometri e ogni volta che ci incontravamo, per me era una festa.
Anche loro ne gioivano, lo si capiva dalle più piccole cose e istintivamente intuivo la genuinità dei loro sentimenti. A pensarci bene, se c'era una cosa che forse mi metteva in un certo imbarazzo, era la troppa considerazione che mi davano.
Più tardi, con gli anni, mi resi conto che non potevano dissociami dal fatto che ero pur sempre il figlio del cavaliere.
Erano povera gente e ogni volta che venivano a trovarmi rimediavano sempre qualche cosa e non era raro che tornando a casa, portassero dei grossi pacchi al loro seguito. In quelle circostanze, alla loro partenza, evitavo di farmi vedere per l'imbarazzo che provavo specie nei confronti di mio fratello di latte, a tal punto che quasi odiavo mia madre che ne era la causa inconscia.
Passarono altri anni, venne la guerra e qualche volta, durante le vacanze estive, prendevo una bici e andavo a trovarli. Ora li vedevo nella più cruda realtà e capivo, intuivo la loro povertà anche dalle più piccole cose che, anche il conflitto in atto, contribuiva a non poco a peggiorare. Sentivo, come spesso capita ritornando ai luoghi della fanciullezza, antichi odori e sapori, ma sopra ogni altra cosa il calore che emanavano quelle due piccole stanze e che a pensarci, ancor oggi, me lo sento sulla pelle.
Gli avvenimenti che seguirono coinvolsero un pò tutti e naturalmente anch'io non ne fui immune. Feci le mie scelte e mi arruolai
I miei genitori si erano trasferiti a Lucca ma questo non impedì che un bel giorno, provando desiderio di rivedere quelle care persone e quei luoghi decisi di andarli a trovare. Una volta sul posto, mi diressi al caseggiato che ben conoscevo e mi avvicinai deciso per bussare alla porta di casa, quando casualmente il mio sguardo si posò su qualche cosa sulla facciata che non ricordavo di aver mai visto prima. C'era una lapide con su uno scritto che come lo lessi, rimasi sgomento. Ricordava la morte per fucilazione del mio fratello di latte per opera dei tedeschi. Non ero mai venuto a conoscenza che la guerra civile ci avesse diviso e messo sui due fronti opposti. In quel momento mi sentii colpevole della sua morte come se fossi stato io medesimo a premere il grilletto che l'avrebbe ucciso. Mentre nella mia testa vorticavano mille pensieri, uscirono dalla porta di casa un uomo e una donna, due larve umane che a mala pena riconobbi.
Non credo di esserlo mai stato, ma in quei momenti mi sentii un codardo. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e salutarli; non fui capace di manifestare in qualche modo il mio dolore anche con due semplici parole, magari di circostanza. Eppure ero certo che loro mi avrebbero capito e apprezzato, ma proprio non ce la feci.
Vidi sui loro volti ancora impressa la tragedia, avevano gli occhi spenti e le loro spalle erano curve dal peso dei ricordi. Avevo di fronte due automi che neppure mi notarono. Andarono oltre passando dentro di me, lasciandoci un grande vuoto e un immensa tristezza.
Addio mamma di latte, addio babbo di legno sussurrai, quasi come una preghiera e me ne ritornai da dove ero venuto.
Non li avrei più rivisti. (Dal 1925 al 1948.)
(Racconti senza Ritorno-Altre storie-1997)
I due amici
Non era raro che a quei tempi avessero l'opportunità di andare in Garfagnana alla ricerca di nuovi clienti e perché no, se capitava, anche di qualche avventura galante.
Successe che in una di quelle occasioni, per cause imprecisate, una sera i due amici furono costretti a restare e pernottare in una pensione nei pressi di Castelnuovo.
All'ora di cena furono piacevolmente sorpresi nel notare che a servirli a tavola era venuta una ragazzotta niente male che poi, nemmeno a dirlo, per tutta la sera fu al centro delle loro attenzioni. A seguito di un forzato digiuno che perdurava da svariati giorni, nella circostanza erano ancor più famelici del solito e così non trascurarono niente ma proprio niente, nel tentativo di agganciare questa ragazza, naturalmente usando ognuno una propria tattica.
Uno, quello più arrapato per intendersi, parlò molto e combinò ben poco, anzi niente, mentre l'altro non parlò affatto, ma ottenne, senza poi tanto tribolare, le di lei grazie, naturalmente all'insaputa dell'amico che nel frattempo, visto l'inutilità delle sue chiacchiere, se ne era andato a letto.
Immediatamente dopo il fatto, l'altro entrò nella propria camera che era attigua a quella della ragazza, trovando l'amico ancora sveglio. Essendo anche soci in affari si misero a parlare di lavoro facendo pure un bilancio della giornata che a quanto pare risultò molto positivo, poi dato che il discorso inevitabilmente era caduto su quella ragazza, quello diciamo più fortunato disse all'altro "perché non vai in camera sua e tenti l'avventura? E' qui accanto alla nostra e giurerei che ha lasciato la porta aperta". L'amico non se lo lasciò ripetere due volte e si precipitò, a quanto pare con successo, alla ricerca della sua razione di sesso.
Quando ritornò in camera non stava nella pelle e prima di addormentarsi non poté fare a meno di raccontare all'altro una particolarità di quell'avventura che lo aveva colpito più di ogni altra cosa. Disse: "Non puoi nemmeno lontanamente immaginare la sensibilità di quella ragazza". Aggiungendo subito dopo: "Ma lo sai che l'avevo appena sfiorata con una mano che già era bagnata fradicia?"
Naturalmente l'amico, nicchiando sotto le coperte, non fece commenti e almeno per quella notte, si guardò bene dallo spiegare che quel seme così abbondante non era proprio tutto farina del di lei sacco...
Senza ombra di dubbio la precedente immersione, complice la lunga astinenza, aveva contribuito non poco ad annaffiare abbondantemente quel giardino tanto generoso...
Dato che i tempi tra un atto e l'altro erano stati così vicini tra loro, quasi certamente quella ragazza non avrà avuto il tempo né la voglia di effettuare quella piccola operazione igienica dopo la quale, qualsiasi donna, anche la più sensibile, sarebbe apparsa normale e non avrebbe certamente dato motivo alcuno di mandare in escandescenze quell'ipotetico mortale che l'avesse posseduta anche subito dopo. (Anno 195O.)
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
Umbertino
Da uno strato di bende bianchissime che gli coprivano completamente il corpo, solo le mani ne erano prive, gli avevano lasciato alcuni piccoli buchi per respirare dal naso e due un poco più grandi per poter vedere. Io gli ero vicino ed i suoi occhi, incastonati come erano tra il chiarore delle bende, li vedevo così grandi da perdermici dentro e ci leggevo una disperazione infinita; mi fissavano senza posa, forse nel disperato tentativo di trasmettermi chissà quali messaggi e tutto questo, oltre che turbarmi, mi dava una struggente sofferenza.
Le sue mani bianche, delicate, che lasciavano intravedere i solchi delle vene sotto la pelle, lunghe e affilate, con forza insospettata stringevano le mie.
Non parlava, non poteva anche volendo, ma quei due unici mezzi dei quali disponeva, erano ben più efficaci di qualsiasi parola. In piedi e imbambolato come ero, incapace di un gesto, mi sentivo come ipnotizzato. Appena respiravo, stretto dalla forza di quelle mani e di quello sguardo.
L'odore del disinfettante, che faceva parte integrante di tutta quella stanza, era intenso ed i miei polmoni stentavano sempre di più ad accettarlo.
Un poco alla volta la visuale si restrinse, mi sentii sospeso a mezz'aria e tutto mi apparve come dentro una nebulosa; quei due buchi neri diventavano sempre più grandi.....poi il nulla.
Non capitava tutti i giorni che nostro padre la lasciasse incustodita alla nostra mercé, come non approfittarne? Avevo i due miei fratelli più grandi che fremevamo.
Da qualche parte fu trovato un fiasco, anche se non più impagliato, faceva ugualmente al caso nostro; mancava solo un volontario ma per questo c'era lui, sempre disposto a rendersi utile ed incapace di negare un qualsiasi favore, perché Umbertino era, quello che si dice, un bravo ragazzo.
Più grande di me di qualche anno, lo consideravo il mio migliore amico. Io portavo ancora i pantaloni corti e lui la zuava e questo, per quei tempi, la diceva lunga sulle rispettive età.
Era alto molto più del normale e sempre assieme come eravamo, si formava una ben strana coppia.
Non fu necessario chiedergli niente, di sua iniziativa prese il fiasco, le poche lire necessarie e si incamminò.
Lo accompagnai per qualche centinaio di metri e una volta che fummo davanti al Forno del castagnacciaio, posto nel bel mezzo del paese, io mi fermai. Gli dissi: "Ti aspetto qui". Non resistevo mai alla tentazione di un bel neccio caldo.
Appena fui entrato, "quanto costa" chiesi: "venti centesimi?", "Si, trenta con la Ricotta" fu la risposta. "Allora ne voglio due da trenta ed il resto" così dicendo lasciai cadere sul bancone di marmo, facendola pure tintinnare, l'unica lira che avevo. Pensai che quando Umberto sarebbe ripassato, avrebbe accettato di buon grado.
Se si trattava di mangiare qualche cosa, mai si faceva pregare e credo proprio che il suo stomaco, a proposito di carburante, ne fosse molto spesso a corto.
Poco dopo, in lontananza, lo scorsi; procedeva con lunghe falcate che quelle sue gambe gli permettevano di fare, chiaramente cresciute troppo in fretta rispetto al resto del corpo. Mi fece tenerezza anche se mi parve un poco buffo con quella sua zuava, reduce chissà da quante battaglie.
Si stava avvicinando sempre di più, ormai era a pochi passi e vidi che mi sorrideva. Era quel sorriso che più mi piaceva di lui, lo trovavo aperto e sincero. Avevo la certezza che in quel momento stava pregustando la gioia di ciò che lo aspettava, sicuro che non lo avrei deluso.
Posò il fiasco di benzina per terra fuori della porta d'ingresso e non si fece certo pregare per prendere quel neccio che gli avevo messo da parte.
Non lo mangiò, lo divorò e subito senza neppure darmi il tempo di accompagnarlo, riprese il fiasco proseguendo con la stessa andatura di prima.
"Aspettami" gli dissi, ma nello stesso istante mi accorsi di quella macchia per terra; vidi pure il gocciolio che inseguiva i suoi passi e quella fiammella, dall'alto della sigaretta di un passante, cadere.
Una frazione di secondo che pure, per tutto ciò che mi passò per la mente, credetti interminabile, ma al contrario neppure sufficiente per un mio maldestro tentativo di fermarla. Allungai una mano così, d'istinto, ma già la vampata che udii e vidi, era divenuta tutt'uno con quell'urlo inumano, straziante.
Aveva cominciato a correre, forse chissà, nell'illusione di sfuggire a quelle fiamme che, al contrario, lo avvolgevano sempre di più e che non lo mollarono neppure quando esausto, esanime, così credetti, cadde a terra.
Una provvidenziale coperta, anche se tardiva, coprì il suo povero corpo e solo allora avvertii quell'acre odore di carne bruciata... "Oh Dio, perché..." mi dissi.
Poi mi sollevai, abbastanza da poter vedere dentro quei due buchi, i suoi occhi, che ora mi guardavano non più disperati, ma immensamente preoccupati e tristi da morire; credetti pure di vederci un luccichio sospetto; poi ne fui certo, si, erano lacrime, vere lacrime che un generoso amico dal cuore grande così, versava per me .
Fu il suo commiato.
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
Uno strano incontro
L'ho visto sbucare da una delle tante curve del sentiero che costeggia il lago. Ho appena il tempo di notare una figura leggermente curva, anche se giovanile, che aiutandosi con un nodoso bastone procedeva con un andatura abbastanza spedita, anche se un poco incerta, che me la ritrovo a fianco e mi parla.
Le sue parole, come non notarlo, fanno parte di un discorso avviato chissà da quanto tempo e magari elaborato una infinità di volte. Parla, anzi ciacola in quel simpatico accento veneto e in meno che non si dica, so tutto di lui.
E' un fiume di parole, non mi lascia neppure il più piccolo spazio per interloquire, per dire la mia e così non mi resta che approvare con vaghi cenni del capo e compiacenti anche se maldestri sorrisi, su tutto quello che mi dice.
Una piccola tortura alla quale non ho potuto né voluto sottrarmi.
Una volta finalmente solo e a mente sgombra, come non pensare a questa persona, costretta a mendicare un pò di compagnia da un occasionale quanto sconosciuto passante, suo malgrado disposto, per non dire costretto, ad ascoltare e fare da cassa di risonanza al suo dire e in tal modo concedergli, anche se per un piccolo spazio di tempo, l'illusione di aver fugato quello che è il suo vero dramma, la solitudine. (settembre 1995.)
(Racconti senza ritorno-Altre storie-1997)
Schegge d'Autunno
Facemmo a tempo a salire sulla nave e sederci più comodamente possibile in attesa della partenza del traghetto espresso attraccato al molo del porto Mediceo di Livorno, che il nostro amico nato e vissuto almeno fino alla maggiore età in questa città di mare, mi comunica con l'aria di chi se ne intende: "Sarà una traversata di trenta miglia", che in parole povere equivaleva a meno di un ora di navigazione. Io non dissi niente anche se la destinazione era Olbia.
Per ingannare il tempo continuammo a chiaccherare come si usa fare tra amici, affrontando i più disparati argomenti e poi lui, sapendo della mia propensione a operare abbastanza spesso in borsa, mi spara questa bella notizia:
"Ma lo sai che l'Italia è piena zeppa di Giapponesi che, beati loro, se ne vanno a zonzo spendendo a man bassa. Certo se lo possono permettere con un cambio così favorevole....". Poi forse scorgendo nel mio sguardo una certa perplessità e forse anche una espressione di sorpresa, aggiunge: "pensa che con un yen ottengono nel cambio fino a due, tre due o tre euro. mica male, che ne dici.". Visto che chiedeva la mia opinione, non potei esimermi dal replicare: "guarda che ti confondi, loro, intendo i Giapponesi, per avere nel cambio un solo euro, devono sborsare la bellezza di circa 150 yen e già che ci siamo, la nostra traversata anche se fatta con una nave molto veloce, sarà di circa cinque sei ore il che vuol dire che di miglia marine ne dovremo fare almeno140/ 150". Non ebbi alcuna risposta, ma dall'occhiata che ricevetti, mi resi conto, delle sue perplessità e magari sarebbe stato pronto a giurare che ero un po' matto.
Tutto era iniziato dopo vari incontri sia pur brevi nel corso di questi ultimi anni e l' ultimo a
seguito di un soggiorno a Lucca con la sua compagna un po' più lungo del solito, mi aveva
convinto di aver trovato la persona giusta con la quale andare nella mia casa in Sardegna e passare una settimana o due avvolti nel silenzio che segue il ferragosto e immersi in quella natura forte e ancora non completamente contaminata. Tutto questo anche in considerazione che la stagione era giusto quella che prediligevo.
I presupposti di un tranquillo soggiorno c'erano tutti: coetanei, ex GNR della scuola di Lucca, ex S.Marco al nord, insegnante di lettere a Milano ora in pensione che per me equivaleva a persona educata e colta quel tanto che bastava. Inoltre e non era poco, a suo dire ottimo cuoco che poi riscontrai essere una verità assoluta. Isomma pensai di avere trovato la persona giusta, e fu che gli proposi questa gita che accettò subito con entusiasmo, per di più che in Sardegna non c'era mai andato. Le spese sarebbero state divise da buoni amici e per quanto altro sarebbe stato mio ospite. Trovò tutto O.K.
Prima della partenza Maria pensò bene fare la spesa per i primi giorni e da parte mia ritenni giusto prendere un certo numero di bottiglie di vino che avevo in casa e che ovviamente non segnai nella spesa comune.
Pranzammo sulla nave e arrivammo al porto di Olbia, nel primo pomeriggio.
Una volta sbarcati con poco meno di due ore di macchina arrivammo a destinazione passando da Arzachena, Palau e S.Teresa di Gallura. Debbo dire che a parte qualche raccomandazione tipo: "Stai attento, frena, non correre" quanto altro andò liscio come l'olio.
Arrivati a Costa Paradiso prendemmo immediatamente possesso della casa e una volta entrati il mio primo pensiero fu di indicargli la sua camera, in modo potesse mettersi a suo agio. Naturalmente misi a sua disposizione il meglio che potevo offrire e nello specifico un ampia camera con attiguo bagno con doccia ed io mi preoccupai di scaricare dalla macchina, le provviste, accendere il frigo e quanto altro che si fa entrando in una casa da tempo disabitata. Non avevo ancora finito questo lavoro, che avendo lui nel frattempo preso possesso della sua alcova controllando tutto il controllabile, senza porre tempo in mezzo, mi fece notare che la doccia del bagno funzionava male. Gli risposi che la casa era disabitata da diverso tempo e per questo motivo certi inconvenienti purtroppo erano normali. Comunque non doveva preoccuparsi, perchè nel più breve tempo possibile, avrei provveduto. Infatti l'inconveniente fu risolto nel giro di un ora chiamando chi di competenza.
Chi è stato in barca in compagnia di una sola persona, anche se amica, sa benissimo che nel giro di pochi giorni i battibecchi purtroppo diventano frequenti e non solo quelli. Così mi venne da pensare che noi due, soli in una zona in quel periodo quasi disabitata, alloggiati in una casa sul mare quasi a ridosso della scogliera, che inevitabilmente non saremmo stati immuni da questo virus contagioso più di un influenza o di un semplice raffreddore. Se poi il buon giorno si vede dal mattino, pensando a quei primi approcci non proprio idilliaci, ebbi la netta sensazione che avremmo navigato in acque...non proprio tranquille.
Comunque sia i primi due o tre giorni li passammo gironzolando in macchina, facendogli visitare il Territorio di Costa Paradiso che si sviluppa su circa 80 ettari.
Debbo dire, non senza imbarazzo, che le critiche non mancarono. Io vedevo tutto bello da ben 38 anni, forse anche quello che effettivamente non lo era e lui a sua volta, su tutto quanto trovava il difetto. Quel gruppo di case non andava bene, la spiaggetta era troppo lontana. troppe scogliere ecc, ma per il quieto vivere mai replicai a questi apprezzamenti gratuiti facendo solo notare che se ci avevo costruito la casa per le vacanze da quasi quaranta anni, voleva dire che a me piaceva così come era. Lo portai all'Isola Rossa e al paesello omonico con il suo porticciolo e finalmente trovò di suo gradimento e nel paragone che al contrario gli piacque molto di più di Costa Paradiso dichiarando apertamente la sua preferenza e ovviamente gli dissi che era nel suo diritto avere della preferenze e chiusi l'argomento con quel detto latino che mi pare dicesse" gustibus non est disputandum". Ovviamente mi guardai bene di non aggiungere niente riguardo la sua sensibilità nei confronti del sottoscritto.
Ovvio che cominciassi a pensare che anche la persona più sprovveduta ma con un minimo di educazione, oltretutto ospite, avrebbe dovuto evitare certi apprezzamenti gratuiti e cominciai seriamente a ritenere che forse ad invitarlo era stato un errore. Comunque pensai di armarmi di santa pazienza e accettare le eventuali conseguenze, perchè se questo era il suo temperamento, andando avanti non poteva che peggiorare.
Altra grana avvenne poco dopo quando gli feci notare che avrei gradito, dato che eravamo in due, che anche lui contribuisse a lavare quelle due o tre pentole e posate e bicchieri (per quanto altro usavamo i patti di carta) che due volte al giorno sporcavamo dato che fino allora avevo sempre provveduto io. La sua risposta fu negativa. "Non li ho mai lavati e non comincerò proprio adesso a farlo". Non replicai e anzichè controbattere, a mia volta scioperai, ritenendo inaccettabile il suo modo di interpretare una convivenza tra amici. Proposi solo se d'accordo, per il quieto vivere, di prendere una donna di pulizie a ore. Accettò di buon grado, ma quando seppe il prezzo e vide che le donne erano ben due, quasi era propenso a rinunciare; poi il buon senso prevalse e con qualche grugnito, le donne rimasero e continuarono a venire anche nei giorni seguenti. D'Altra parte questa era la prassi e se lo facevano era per risparmiare nel viaggio in auto che dovevano effettuare e poi, a loro dire, per noi la spesa era la stessa perchè avrebbero impiegato
metà tempo. Cosa teoricamente vera, ma non nella pratica, io l'avevo già sperimenato in altre occasioni. Comunque prendere o lasciare, non avevamo alternative anche in considerazione che ormai la stagione praticamente era alla fine e non c'erano offerte in zona.
Tutto sommato, questa decisione fu saggia perchè la casa da quel giorno fu sempre pulita.
Hanno sempre bazzicato nella zona i cinghiali, famiglie al completo, come i turisti diminuivano, verso sera venivano a trovarci sperando in qualche buon boccone.
Erano puntualissimi e al lorto arrivo, avresti potuto rimettere l'orologio. Io mi ero raccomandato che non dare loro niente da mangiare perchè poi non sarebbero andati più via. Se voleva proprio farlo dato che per lui era una piacevole novità. restammo intesi che avrebbe portato la pappa a una certa distanza da casa. Ma appena voltavo l'occhio si guardava bene di accettare il mio consiglio, facendo a modo suo con il risultato che non solo non andavano via, ma in compenso inbrattavano pure tutto il giardino attorno alla casa. ( La famiglia dei cinghiali ormai ospiti fissi, era composta da padre, madre e di una cucciolata di cinghialini).
Il suo spasso preferito era di telefonare a tutte le sue conoscenze del continente spiegando dove si trovava e senza mai, nemmeno per sbaglio, menzionare con chi era, ospite chi, insomma io non esistevo. Poi venne il momento delle cartoline che ne scrisse una quantità industriale e non ci fu
una volta, dico una che gli fosse venuto in mente di chiedermi di aggiungere la mia firma e questo anche con persone che io pure conoscevo e lui lo sapeva benissimo. Non ho mai capito il perchè, ma mi guardai bene di chiederglielo. Lo portai a visitare un nuraghe importante, Santu Antine distante oltre 100 Km, gli feci una valanga di foto che gli misi in un dischetto, lo portai ad Alghero e in altri posti caratteristici ma a quanto pareva tutto gli era dovuto.
Una sera mentre eravamo seduti fuori casa, essendo una serata stupenda e l'unico rumore era un leggero movimento del mare distante poco mene di 100 metri, non potemmo esimerci di ammirare il cielo e le miriadi di stelle; approfittò dell'occasione per spiegarmi con il loro aiuto dove esattamente si trovava il nord, naturalmente spostandolo dalla sua posizione, quella che ormai da oltre trentotto anni ritenevo fosse quella giusta... insomma si era arrivati ad un punto che non ne potevo più.
Tutto era diventato motivo di discussione e tutte le corbellerie che mi diceva, o le accettavo o erano discussioni a non finire.
Potrei aggiungere la storia del liceo scientifico che riteneva ai nostri tempi avesse la durata di cinque anni anzichè quattro, o della sua allergia alle scatolette di tonno o di altro anche se
proposte in casi eccezionali, dato che i negozi del luogo erano chiusi. I Sardi hanno l'abitudine di scuotere l'albero fintanto che è pieno di frutti, come questi cominciano a scarseggiare se ne tornano al paesello sopravvivendo all'inverno con il ricavato del.... raccolto estivo e così per fare spesa non sempre era sufficiente scendere dalle le scale di casa.
Comunque a questo proposito, mi trovo costretto a racontare la sua ultima cortesia perchè prima di partire, decidemmo di fare i conti per dividerci le spese.
Dato che ero io l'addetto alla registrazione una volta tirate le somme, gli passai tutto il malloppo affinchè ne prendesse visione e giustamente ne controllasse l'esattezza, ma subito mi fece notare che le scatolette ( le poche che erano rimaste ossia cinque massimo sei perchè in buona parte le avevamo regalate alle due donne in aggiunta a quanto di loro spettanza per le ore fatte) le avevo prese io senza detrarle dal conto, ma ovviamente omettendo e non tenendo conto delle sette otto bottiglie di vino che non avevo addebitato, ma comunque non obiettai e quando mi fece l'assegno per la sua parte, mi rifiutai di prenderlo dicendo che doveva considerarsi di essere stato mio ospite e pertanto niente mi doveva. Non se lo aspettava.
Una volta sulla nave per qualche ora ognuno fece i fatti suoi. Io me ne andai al ristorante e dopo, prima di arrivare a Livorno, ritornò sull'argomento e fece di tutto perchè accettassi il suo assegno: io tenni duro ancora per un poco e alla fine quando compresi che non accettando si sarebbe sentito umiliato e che lo avrei messo in serie difficoltà, accettai.
Tra le altre cose dette non posso sottacere (anche per finire con la solita cigliegina che campeggia in tutte le torte di un certo rispetto), il consiglio che mi dette pensando di farmi un (non) favore, che più o meno diceva cosi: "Ascolta, hai il brutto vizio di parlare troppo dei tuoi trascorsi giovanili nella Repubblica Sociale Italiana e questo ti rende antipatico alle persone". Sinceramente non me ne ero accorto e avrà anche ragione ma... ma...e poi ma....lasciamo correre.
Mi sono limitato a raccontare solo una parte, forse quella che più mi ha dato noia, ma ce ne sarebbero state tante altre di storielle, sulle quali per non infierire ulteriormente, ho preferito sorvolare. Questo scritto ovviamente è uno sfogo ma tengo a precisare che non ha la pretesa di portare rancore contro nessuno, Mi sarà di aiuto a non scordare, questo si, che non si impara mai a conoscerci veramente fino in fondo e soprattutto prima di invitare una persona a passare qualche giorno assieme, specie se in solitario, pensarci su due volte e poi non farne di niente.
(Settembre- 2006)
La Frusa
Proprio ora mi sovvengo di non averla mai incontrata passeggiare in compagnia di altre persone. L’ho sempre vista da sola. Era sufficiente darle il piu’ piccolo pretesto, e subito ti accorgevi della sua disponibilità al dialogo. Poi, a pensarci bene, anche senza pretesto, perchè per lei non c’era niente di meglio che parlare di se e dei bei tempi andati. Se ad un certo punto ti accorgevi che si protraeva una po’ troppo nel suo dire e si cominciava ad andare nel patetico, bastava offrirle come lei lo chiamava un correttaccio naturalmente
al vetro e ognuno poteva riprendere la propria strada.
Piu’ che altro i suoi discorsi vertevano ai bei tempi degli anni verdi, quando, a suo dire, era una gran bella donna e non disdegnava certo le avventure galanti, che però purtroppo, avevavo sempre lo stesso epilogo: la scomparsa del suo spasimante. E’ vero che in un secondo tempo quasi sempre riappariva o meglio, per essere piu’ esatti, che faceva capolino, perchè subito dopo nuovamente spariva e questa volta senza più ritornare. Cosi il ciclo continuava senza fine come la novella dello stento....
Con questo di per se non é che poi fosse così particolare, ma per entrare appieno e capire al meglio il personaggio, bisognava avere avuto almeno una volta, l’opportunità di ascoltarla di notte, alle ore piccole, come é capitato a me, stando al buio nascosto dietro una persiana abbassata, in religioso silenzio, perché era in quei momenti che la Frusa dava il megli di se.
Nel suo repertorio con interminabili soliloqui che immancabilmente avevano il loro natuturale epilogo con la storia del suo Toscano il grande amore.
Anche lui naturalmente era sparito sul più bello, non si sa perchè e per come, non l'ha mai detto, ma non per questo si peritava a non chiamarlo disturbando tutti i santi del paradiso nel raccomandarsi: "ridatemi, il mio Toscano... ridatemi il mio Toscano...". Solo casualmente un giorno venni a sapere del perché di tutte queste sparizioni e riapparizioni: il suo Toscano che non era certo il sigaro di fama mondiale ma un ospite pressocché fisso di San Rossore: entrava e usciva in continuazione fino a quando un bel giorno ne fece una veramente grossa.....e fu da allora che la Frusa non lo vide piu’.
(25 Novembre-20O2)
(La Frusa seduta in Canto D'Arco -Foto collezione Lucio Ghilardi-)
Quartuccio
Era un mezzogiorno di un qualsiasi giorno di Agosto dell’immediato dopoguerra e un ronzino che impietosamente mostrava tutti i suoi anni, stava transitando nell' assolata piazza Grande.
Rientrava in città da porta Vapore dopo aver accompagnato qualche viandante di passaggio, alla vicina stazione. Era un percorso abituale per lui, che faceva svariate volte durante il giorno.
Stoicamente, più che trainare, si portava appresso una vecchia e traballante carrozzella.
Superata la piazza, si inoltra nel centro storico prendendo certe viuzze e nel modo disinvolto con cui ci si destraggia, non lascia dubbio alcuno di una sua assidua presenza in questi luoghi.
Con quella magrezza che si ritrovava anche l' osservatore piu' distratto non poteva, sia pure per un attimo, non pensare a quanti pochi fossero stati nella sua pur lunga carriera, gli approcci con qualsiasi tipo di cereale, che magari gli avrebbe permesso di mettere su qualche chilo di ciccia; almeno quel tanto da coprire l’impressionante visione di quelle vertebre, che allo stato di fatto, pareva da un momento all’altro stessero per fuoriuscire da quella sua pur coriacea pelle.
Sulla testa portava un vecchio cappello di paglia con due provvidenziali fori ai lati, che permettevano alle grandi orecchie, di proseguire senza intoppi e svettare in alto; controluce erano così trasparenti, da poter vedere al loro interno, l’intricato percorso di quelle tante piccolissime venuzze che vi alloggiavano.
Seduto a cassetta, impettito, con uno sguardo che non lasciava alcun dubbio sulla consapevolezza di essere al centro dell’attenzione verso tutto ciò che passava sotto di lui, c’era un cane, un bastardino. Bianchiccio, di pelo raso, con una grande macchia nera attorno agli occhi, se ne stava seduto con le zampe anteriori ben dritte, che permettevano al suo treno posteriore di aderire perfettamente sul sedile, assumendo in tal modo una posizione statica e scultorea.
Trasudava boria da tutti i pori, quei pochi che aveva naturalmente e, anche se al primo impatto restava antipatichetto, non si poteva negare che, visto in quel contesto, se non ci fosse stato, non ci sarebbe rimasto da fare che inventarne un’altro ma tale e quale, perché diverso non c’era proprio modo di immaginarselo.
Sempre a cassetta, seduto di lato in equilibrio instabile, stava lui, Quartuccio. Strano che nessuno ma proprio nessuno si fosse mai chiesto del perché di questo soprannome... ma a bando gli scherzi, é vero che in fin dei conti un quartino di vino era ben poca cosa rispetto a quei bei fiasconi impagliati che circolavano a quei tempi, ma era altrettanto
vero per quanto riguardava il nostro amico, il quartino era semplicemente l’unità di
misura e non certo la quantità e allora tutto diventava chiaro, perchè chissà mai quanti ne passavano dalle sue mani nel corso di una giornata. Comunque da cassetta non era mai caduto e di lui si poteva dire tutto ma non che non fosse un bravo cocchiere; insomma si può tranquillamente affermare che nel suo campo era un vero professionista.
Le gambe accavallate, il cappello sulle ventitré, gli occhi semichiusi e sonnacchiosi, una cicca spenta che gli pendeva eternamente dalle labbra, pareva non accorgersi di niente, della gran calura e di tutto ciò che lo circondava. Era come assente e con quell’aria sorniona, si limitava a seguire con il corpo l’ondeggiare strascicato della carrozzella e solo qualche scossone pareva ridestarlo. Ma erano attimi, perché rientrava subito nel suo torpore.
Con la mano sinistra stringeva la frusta che ogni tanto faceva schioccare, ma niente allarmismi, era solo per scacciare qualche mosca, le più fastidiose, che si adagiava in una zona, dove la coda del suo fidato destriero non poteva arrivare.
Con l’altra mano teneva le briglie, ma così per posa, perché, lo si capiva benissimo, che
era lui, intendo il cavallo, a seguire la giusta rotta. Quartuccio sapeva perfettamente che al momento giusto e nel punto giusto, si sarebbe fermato e allora il solito quartino non poteva mancare. Ma intendiamoci, senza barare, non lo avrebbe mai fatto. Le regole anche se non scritte, erano ferree: "un gotto di vino ciascuno, da buoni amici, tanto per inumidirsi la gola".
Ora la carrozzella si ferma ed entra in scena il bastardino che, azzannata una capace ciotola che teneva a portata di bocca, con un salto é a terra e la depone proprio sotto la testa ciondoloni del cavallo.
Arriva il garzone addetto alla mescita con nelle mani un bicchiere e un quartino di rosso, ne versa una parte nella ciotola, che il cavallo con due colpi di lingua ben assestati prosciuga e il rimanente, una volta trasferito nel bicchiere, passa di mano. Una lenta e ininterrotta sorsata accompagnata da un leggero gorgoglio e voilà il gioco era fatto.
Subito dopo, senza necessità alcuna di comandi, partenza verso la successiva stazione, non della via crucis ma di mescita di vino. Per quanto possa ricordare, non ne saltava una, eppure a quei tempi non é che ce ne fossero poi tanto poche.
C’era pure lui, il piccolo cane, l’unico sopravvissuto. Nella circostanza aveva perso quell’aria di alterigia che assumeva quando se ne stava a cassetta. Ora era cosi triste che faceva tenerezza e se ne stava accucciato ai piedi del suo padrone. Guaiva in una sua incomplensibile preghiera e non intendeva muoversi.....
Però so per certo che qualche cosa é rimasto, il legno. Che almeno per lui si trovi una degna collocazione e che la sua presenza possa ricordare ai concittadini nei tempi a venire una storia lontana, ormai leggenda, che quando verrà raccontata penso inizierà più o meno così: "C’era una volta un certo Quartuccio che amava il buon vino. Aveva un piccolo cane ed un cavallo che trainava questa cosa che tanto tempo fa, i nostri vecchi chiamavano carrozzella....." (Lucca, negli anni del dopo guerra).
(L'ultima carrozzella- Aprile- 1993)
(Quartuccio, immortalato da uno scatto di Foto Benetti, tale e quale lo ricordavo)
La medaglia d'oro
Mi era stato presentato da un comune amico e non tardammo a simpatizzare, non estranea, cosa che venni a sapere poco dopo, la sua partecipazione ad un fatto d'armi durante la seconda guerra mondiale e che ovviamente all'epoca, fece un enorme scalpore. Mi riferisco a l'episodio di quel gruppo di sommozzatori della Marina Militare Italiana, il cui comandante era Luigi Durand De La Penne. passando sotto le reti di protezione, violò il porto di Alessandria d Egitto affondando e danneggiando alcune navi della marina militare inglese all'ancora nella rada di quel porto. Per quest'impresa tutti i partecipanti furono insigniti della medaglia d'oro. Il suo nome era Emilio Bianchi.
Dopo il conflitto una volta rientrato dalla prigionia, fu destinato a La Spezia come istruttore del gruppo sommozzatori. Un comune amico ci presentò ed essendo io all'epoca alle prime armi come subacqueo, praticamente fu lui ad introdurmi in quel mondo sommerso dal quale mai me ne distaccai completamente.
Anche se normalmente pescavo in apnea qualche volta non disdegnavo fare uso dei respiratori ad aria compressa, ma a mai avevo usato i respiratori ad ossigeno, che tra l'altro sapevo essere molto pericolosi.
Fu proprio lui ad insegnarmene l'uso dato che per i somozzatori della Marina, era di norma come il pane quotidiano e debbo dire con ottimi risultati. Il motivo era ovvio, niente bollicine e i pesci si lasciavano avvicinare più facilmente.
Dato che eravamo ormai in Primavera inoltrata, gli proposi di accompagnare me, l'allora amico Ennio e Franco, altro ex, qualche giorno in Capraia a pescare, cosa che accettò di buon grado.
Anni sessanta, sul traghetto verso la Capraia. Emilio Bianchi è il primo da sinistra.
Ci imbarcammo come al solito a Livorno e non avendo al seguito nè gommone nè fuoribordo, mi venne l'idea di spargere la voce durante la traversata, che sul traghetto c'era uno degli eroi dei famosi maiali e la sua visita in Capraia era il presupposto per vedere se nell'isola c'erano le condizioni per permettere ai sommozzatori della marina de la Spezia, di effettuare una esercitazione in loco. La mia era una battuta, ma sperando fosse raccolta da chi di competenza. Avendo fatto questa piccola traversata in altre occasioni, sapevo che c'erano sempre a bordo orecchie attente per ascoltare e casomai riferire una volta arrivati, perchè la nave il venerdì portava si quei pochi passeggeri come noi e le guardie carcerarie, ma anche il personale addetto al rifornimenti dei viveri sia per il carcere che per gli abitanti, pochi o tanti che fossero.
Il mio scopo era semplice. Conoscendo la difficoltà di trovare in loco a nolo una barca e alla migliore delle ipotesi trovandola dovevamo comunque sottostare a determinati orari che ci avrebbero limitato libertà di movimento e questo a causa dei detenuti che in parte nell'isola erano liberi , ma se questo passa parola funzionava come speravo, avremmo potuto scorrazzare a piacimento, dove e come volevamo.
Il risultato fu più che lusinghiero e una volta che la barca che fungeva da traghetto causa i bassi fondali esistenti all'epoca, come attraccò al porticciolo c'erano già le autorità ad accoglierci.
Per la verità ci fu una certa meraviglia da parte del festeggiato e così non potei fare a meno di spiegare l'arcano. Ci facemmo delle grasse risate e pure lui convenne che era meglio adeguarsi e collaborare; A tal punto da pensare seriamente di rendere fattibile questa mia trovata. Poi come succede sempre o quasi, una volta rientrati in continente l'idea svanì nell'oblio con il risultato che all'isola della Capraia gli abitanti stanno ancora aspettanto....Anni 60.
(Sommozzatori della Marina in Capraia-Primavera del 2010-)
(Se peschi mangi, altrimenti....-La medaglia d'oro è il secondo da destra)
Sub Mares Lucca
I primi approcci ci furono una sera all'Hotel Napoleon in occasione di una festicciola
organizzata, credo di ricordare, da colui che poi diventò il nostro presidente e che un anno fu campione italiano di pesca subacquea, anche se i maligni asserivano galeotto fosse stato uno spezzone di rete abbandonato sul fondo con al seguito alcuni grossi pesci che gli avrebbero permesso di portare l'ago della bilancia delle prede più in alto di tutti gli altri concorrenti. Io per la verità non ho ci ho mai creduto e la conferma di essere nel vero, la ebbi in seguito, toccando con mano la sua bravura nello scovare e prendere i pesci.
Uno dei fautori di questa diceria era un famoso sub di Pisa che tutti conoscevamo come il
Marò, che era un gran simpaticone. Tra l'altro soleva spiegare con una battuta a dire poco provocatoria, la sua immensa bravura: 'Io i pesci li scovo anche nella vasca da bagno'.
Importante fu l'incontro di quella sera perchè ci permise, dopo gli inevitabili approcci, di mettere le basi per costituire il club che poi fu chiamato SUB MARES LUCCA. Si era nel 1965 o primi del 1966 perchè il primo bilancio è del 1966 con un attivo di circa vecchie lire 200.000, praticamente quanto ci dava la Mares nostro sponsor una volta l'anno.
Agli inizi eravamo non più di una mezza dozzina tutti amanti di questo sport e sempre per merito del presidente fummo sponsorizzati come detto, dalla Mares azienza nazionale di articoli da pesca sportiva con particolare riferimento al sommerso. Iniziammo con il piede giusto. Da Lucca in due tre auto verso le 20 di sera iniziammo a frequentare un corso in una piscina a Livorno, alla scuola federale subacquea, dove c'erano istruttori con le carte in regola per rilasciarci a loro volta, dopo un percorso abbastanza impegnativo, il brevetto di istruttore subacqueo. Ci andavamo un paio di volte la settimana facendo le ore piccole.
Questo corso ci impegnò per buona parte dell'inverno, ma in compenso, pochi mesi dopo, potemmo contattare in un impianto ben attrezzato vicino a Lucca sulla via Pesciatina, Il Country
Club, l'affitto della piscina coperta, tre sere settimanali per tutto il periodo del corso che aveva la durata di alcuni mesi. Contemporaneamente aprimmo le iscrizioni con un buon successo. Non poteva essere altrimenti dato che la quota di iscrizione era alla portata di tutti e noi istruttori non solo non percepivano una lira, ma in compenso... ci pagavamo pure le spese.
L'entusiasmo era quello giusto e non ci dava fastidio rincasare molto tardi dopo una giornata di lavoro e spesso e volentieri eravamo pure costretti a cenare con un paio di panini e una birra.
Come già detto la Mares ci dava solo un contributo annuale, ma ci vendeva i suoi prodotti a prezzo scontato, così avevamo la possibilità di guadagnare qualche cosa. Per invogliare i ragazzi meno abbienti, si dava loro la possibiilità di acquistare ratealmente l'attrezzatura piuttosto costosa e in seguito ai più bravi, che partecipavano a qualche gara, rimborsavamo le spese.
Avevamo trovato due locali in via S.Croce chi prendemmo in affitto e quella fu la nostra sede sociale.
La inaugurammo con una votazione volante per assegnare gli incarichi sociali e essendo in pochi, furono tutti contenti, ne avemmo uno ciascuno. Al sottoscritto fu assegnata la cassa (senza quattrini) e la tenuta dei conti.
La prima cosa che feci fu di andare dall'amico Pardi, all'epoca direttore della Banca Del Monte
di Lucca e aprii un conto corrente intestato all'associazione. In seguito con il senno del poi, mi resi conto quanto azzeccata fosse stata quella mossa.
Sapevamo che era necessario organizzarci per dare il meglio, anche se tutto pareva funzionasse, perchè più passava il tempo e più ci rendevamo conto della necessità di inventare qualche cosa che ci permettesse di rimpinguare la cassa, perennemente in equilibrio precario. L'idea vincente l'avemmo nell'organizzare qualche serata con cene, balli e premi sorteggiati tra le signore. L'idea non è che fosse nuovissima, io ricordo in proposito gli anni del dopo guerra, i veglioni della stampa al teatro del Giglio, poi al circolo universitari al primo piano del palazzo Bernardini e alla circolo ufficiali la cui sede era in via S.Andrea e non ultimo all'associazione sportiva Lucchese in Corte Sbarra dove, tra l'altro, si organizzavano gare di schema. Il sottoscritto, nelle tre armi, non aveva rivali, avendo praticato la pedana sin da piccolo, proseguendo al Navale di Venezia e in ultimo, nel dopo guerra, proprio al circolo sportivo Lucchese, sotto la guida del maestro Livornese Oreste Puliti, quattro volte medaglia d'oro alle olimpiadi.
Forse avemmo successo per il ricordo dei nostri concittadini per quei tempi e forse non del tutto estranea fu la consetudine lucchese risalente ai tempi dei nostri padri, che per sentito dire amavano riunirsi in circoli privati e chiusi come.... le nostre mura. Ovviamente le nostre erano feste, dove più o meno ci conoscevamo tutti e alle quali non era raro partecipassero anche famiglie al completo.
Veglione della stampa al Teatro del Giglio a Lucca nel 1947
Circolo sportivo, dopo l'ultimo assalto. Di spalle a destra
l'allenatore e giudice di gara
Oreste Puliti più volte vincitore olimpionico.
Comunque sia i risultati furono superiori ad ogni aspettativa. Anche se non avevamo una sede idonea si affittava ambienti adatti e mai una volta ch'io ricordi, abbiamo fatto cilecca, anche perchè se le nostre serate erano alla buona, c'era sempre quel pizzico di eleganza che non guastava, ed un minimo di savoir faire. Mai facemmo pubblicità e usavamo solo il passa parola.
La Casina Rossa era la preferita per tanti motivi, non ultimo perchè si mangiava bene e si spendeva il giusto. Poi ero amico del figlio di Lorenzino, il titolare, che mi faceva sempre un prezzo speciale. Durante il Carnevale c'era il pienone, addobbavamo i locali in modo
consono alla circostanza e avevamo pure l'orchestra. Morale della favola, il perenne rosso sul nostro conto corrente ormai non era che un lontano ricordo.
Tutto ciò avvenne per gradi e nel tempo, ma comunque avvenne. Fu un periodo piacevole che ci ricompensò dei sacrifici dei primi tempi.
Premiazioni in occasione di una delle feste organizzate dal Club Sub Mares
Una delle tante cene organizzate dal Club
Facemmo qualche gara sociale alle Cinque Terre, ma con scarsi risultati e molte discussioni. Invece riuscitissime furono le gite alla Capraia e a Baratti fatte a spese della cassa sociale. Per la verità non erano molte le occasioni di questo tipo, perchè l'amministratore, non certo di manica larga, riteneva doveroro stare attento a non fare il passo più lungo della gamba, come si usa dire. Ma questo suo atteggiamento non era capito da parte di alcuni soci e in seguito fu un pretesto che degenerò in vere e proprie contestazioni.
Qualche cosa ormai si era incrinato e questo non fu che l'inizio della fine.
Gara sociale. In piedi il terzo da destra.
Tutto quanto avevamo racimolato era nel conto corrente che pare desse noia a troppi, perchè non passava giorno che non ci fosse qualche proposta e sempre a danno della cassa.
Tra le più eclatanti ci fu l 'idea di una gita nel Mar Rosso a spese naturalmente del club. Io pur non essendo contrario, proposi di far partecipare alle spese l'associazione, ma solo in parte e il resto a spese in proprio. Per loro era troppo poco e cosi non se ne fece di niente.
Debbo Precisare tra l'altro, che due o tre soci, non ricordo bene, avevano iniziato un attività commerciale aprendo un negozio di articoli sportivi e creando di fatto un conflitto di interessi a danno dell'associazione. Infatti succedeva che soci e simpatizzanti venivano dirottati al negozio. In altre parole il materiale che vendevamo a rate, e che bene o male dava al club un certo introito, ora veniva a mancare e alla migliore delle ipotesi era molto ridotto. Per essere chiari il club era divenuto per il negozio una fonte di guadagno a spese del club.
Ad altri soci addirittura venne in mente di acquistare un barcone naturalmente con i soldi della cassa sociale, un idea geniale fatta da persone anche se brave come sub. che non avevano la minima cognizione cosa di volesse dire navigare e magari a malapena sapevano distinguere la prua dalla poppa di una imbarcazione.
Fu allora che ritenni fosse giunto il momento di togliere il disturbo.
Andai in banca, chiesi il movimento del conto con il saldo e la sera stessa andando in sede, detti le mie dimissioni da amministratore, con gran sollievo di alcuni soci, ma non senza farmi controfirmare la ricevuta dell'importo di poco meno di due milioni di vecchie lire che avevo lasciato in banca e che avevo difeso fino all'ultimo. Questa ricevuta ero certo di non averla distrutta e di averla ancora da qualche parte, e infatti l'ho cercata e trovata. Si era alla fine del 1972.
Inutile dire che da quel giorno non partecipai più alla vita del club e solo dopo qualche tempo ebbi la notizia che il barcone, acquistato prosciugando i fondi della
cassa, fece una brutta fine. Non ne sono certo e se vero ignoro i particolar, perchè mai mi sono interessato di saperlo. Comunque sei sette anni non sono pochi e non so nemmeno dire quanti anni ancora è andato avanti perchè altri interessi che sono ampiamenti raccontati in altra parte di questo sito.
Anche questa fu una bella esperienza che, tutto sommato, era durata vari anni. Come socio e amministratore non ho assolutamente niente da rimproverarmi non solo, ma ritengo le mie mansioni di averle gestite al meglio fino all'ultimo giorno.
(primavera del 2010)